Bufera sul Nobel, “Handke amico di Milosevic”

Avvenire, 12 ottobre 2019

Le Madri di Srebrenica hanno chiesto all’Accademia svedese delle scienze di revocare il premio Nobel a Peter Handke, perché “un riconoscimento così importante non può andare a un uomo che ha difeso i carnefici delle guerre balcaniche”. Ma il giorno dopo l’annuncio dei giurati di Stoccolma sono già molte le voci di condanna che si sono levate nei confronti del premio a Handke, tra cui quella del primo ministro albanese Edi Rama, del membro bosgnacco della presidenza tripartita della Bosnia-Erzegovina Sefik Dzaferović e dell’ambasciatrice del Kosovo negli Stati Uniti, Vlora Çitaku, che su Twitter l’ha definito “uno schiaffo a tutte le vittime del regime di Milošević”. Un vero e proprio coro di indignazione al quale si sono già uniti anche alcuni intellettuali. Il filosofo sloveno Slavoj Žižek non ha esitato a definire Handke “un apologeta dei crimini di guerra”, la scrittrice statunitense Jennifer Egan – a nome del Pen American center – si è detta sbalordita dalla scelta di un autore che “ha usato la sua voce pubblica per sminuire verità storiche e sostenere i perpetratori del genocidio” mentre Salman Rushdie, che già vent’anni fa attaccò Handke con toni quasi infamanti, ha ribadito ieri di pensarla ancora allo stesso modo. Sotto accusa sono le controverse posizioni assunte dallo scrittore e drammaturgo austriaco (ma di madre slovena) fin dai primi anni ‘90, al tempi della dissoluzione della ex-Jugoslavia, e reiterate almeno fino alla morte del presidente serbo Slobodan Milošević, nel 2006. Handke non ha mai fatto mistero delle sue aperte simpatie nei confronti dei serbi e già durante le guerre balcaniche si attirò non poche critiche per aver respinto con decisione l’immagine di aggressori che l’opinione pubblica internazionale attribuiva alle truppe di Milošević e Karadzić. Nel suo libro Un viaggio d’inverno ovvero giustizia per la Serbia, uscito per Einaudi nel 1996, cercò di difendere i serbi da quella che era a suo avviso un’ingiusta criminalizzazione messa in atto dalla stampa tedesca e francese. In un intervento uscito quello stesso anno sul quotidiano francese Libération arrivò persino ad attribuire alle milizie bosniaco-musulmane le colpe del genocidio di Srebrenica e dell’assedio di Sarajevo. Le sue convinzioni sarebbero rimaste sostanzialmente inalterate anche alcuni anni più tardi, nonostante la scoperta delle fosse comuni, le sentenze del Tribunale dell’Aja e un giudizio della Storia ormai sempre più definito.

Nella foto: Peter Handke al funerale di Slobodan Milosevic

Nel 2006 si recò a Belgrado per pronunciare un’orazione funebre durante le esequie di Milošević, deceduto in carcere prima del processo che lo vedeva imputato per crimini contro l’umanità. La presenza al funerale dell’ex leader serbo costò cara al futuro premio Nobel, poiché la Comédie Française di Parigi decise di cancellare un suo spettacolo mentre la città di Dusseldorf gli revocò il prestigioso premio letterario “Heinrich Heine” che si era aggiudicato quello stesso anno. Handke era anche andato a trovare Milošević nel carcere di Scheveninghen, due anni prima della sua morte, e aveva raccontato il loro incontro in un lungo articolo dai toni apologetici, nei quali ribadiva di essere convinto della sua innocenza e dell’illegittimità del Tribunale dell’Aja. Per chiedere la revoca del premio Nobel per la letteratura a lui assegnato è stata lanciata anche una petizione on-line sulla piattaforma Change.org che ha già raccolto migliaia di firme.
RM

Srebrenica, Karadzic condannato a 40 anni

Avvenire, 26.03.2016

Sono quaranta gli anni di carcere ai quali Radovan Karadzic è stato condannato dal Tribunale penale internazionale dell’Aja, come quaranta erano state le volte in cui l’ex leader dei serbi di Bosnia era stato definito “bugiardo” dal pubblico ministero Alan Tieger, nel corso della sua dura requisitoria finale dell’ottobre scorso. La prima condanna per genocidio e crimini di guerra pronunciata nei confronti d’un leader politico europeo dai tempi di Norimberga ha lasciato l’amaro in bocca a quanti erano convinti che l’ergastolo chiesto dal pm costituisse un esito quasi scontato per un uomo che secondo il giudice coreano O-Gon Kwon era “l’unica persona in grado di evitare che i bosniaci musulmani di sesso maschile potessero essere uccisi”. La Corte ha riconosciuto Karadzic colpevole del reato di genocidio per il massacro di Srebrenica e dei crimini contro l’umanità commessi durante i 43 mesi dell’assedio di Sarajevo, durante i quali furono uccisi oltre 11500 civili, un decimo dei quali erano bambini. È stato invece giudicato non colpevole, per insufficienza di prove, nel primo dei due capi d’accusa di genocidio, relativo agli eccidi compiuti nei villaggi bosniaci di Bratunac, Prijedor, Foca, Kljuc, Sanski Most, Vlasenica e Zvornik. Il giudice ha osservato che in quel caso non è stato possibile stabilire che l’imputato avesse “l’intento genocida di distruggere un gruppo”.Radovan_Karadzic_s_2760554n
Karadzic ha assistito impassibile, in silenzio, all’ultima seduta del tribunale e alla lettura della sentenza di condanna a suo carico, osservando il giudice con uno sguardo che non lasciava trapelare la minima emozione. Durante l’intero processo – che è durato sei anni e mezzo, ha coinvolto 600 testimoni e prodotto decine di migliaia di documenti – ha rifiutato un avvocato difensore e si è avvalso unicamente di un consigliere legale.
Alla fine, il verdetto ha deluso sia la difesa – che ha già annunciato che presenterà ricorso in appello -, sia le vittime. Vasvija Kadic, dell’associazione Madri di Srebrenica, ha definito “vergognosa” e “offensiva” la condanna a 40 anni e non all’ergastolo, mentre Belgrado ha accusato la giustizia penale internazionale di parzialità. “E’ selettiva quella giustizia che ritiene colpevole un popolo di crimini commessi da singoli”, ha commentato il ministro della giustizia serbo Nikola Selakovic. La posizione serba è arrivata dopo quella russa, che definiva “politicizzato” il verdetto contro l’ex leader serbo-bosniaco.
Curiosamente, la condanna di Karadzic è arrivata lo stesso giorno in cui la Serbia ricordava l’inizio dei bombardamenti della Nato, che scattarono la sera del 24 marzo 1999 contro l’allora regime di Slobodan Milosevic, accusato di atrocità e repressioni contro gli albanesi del Kosovo. Per oltre due mesi e mezzo i raid aerei dell’Alleanza atlantica colpirono obiettivi militari e civili, causando centinaia di morti ed enormi distruzioni. A Belgrado e in altre località serbe si sono svolte commemorazioni e cerimonie alla presenza del primo ministro Aleksandar Vucic.
Polemiche a parte resta il fatto che, pur con grave ritardo, i giudici dell’Aja hanno comunque scritto una pagina storica nella spaventosa vicenda della guerra in Bosnia Erzegovina e hanno dato un segnale importante sull’efficacia della corte internazionale creata oltre vent’anni fa per giudicare i criminali di guerra sulla base del diritto umanitario internazionale. A giorni è atteso il verdetto del tribunale anche nei confronti di un altra figura di spicco di quegli anni, l’ex leader paramilitare serbo Voijslav Seselj. Ma il processo più atteso resta quello contro l’ex generale Ratko Mladic, tuttora in corso di svolgimento all’Aja.
RM