Siria, la speranza è in biblioteca

Da “Avvenire” di oggi

Quattro anni d’assedio non sono riusciti a cancellare lo spirito e l’umanità del popolo siriano. In una strada alla periferia di Darayya, una città a pochi chilometri da Damasco dove secondo alcune fonti della tradizione sarebbe avvenuta la conversione di San Paolo, si nasconde un tesoro che è stato creato poco dopo l’inizio della guerra civile e che da allora viene curato, alimentato, vissuto. Un luogo che con la sua stessa esistenza è in grado di dare speranza a chi è costretto a vivere in un paese sempre più martoriato dai bombardamenti quotidiani. È una piccola biblioteca pubblica dove un gruppo di giovani ha portato i libri salvati dalle macerie dopo averli sottratti alla distruzione e all’oblio, e li ha restituiti alla popolazione. Il progetto è nato quasi per caso nel 2012 quando alcuni studenti di Damasco e delle aree limitrofe, ormai impossibilitati a proseguire gli studi in un paese in guerra, decisero di dedicare parte del loro tempo al recupero dei libri dagli edifici distrutti dalle bombe, oltre a quelli scampati dai roghi delle biblioteche e delle librerie. h01Mentre il numero di volumi raccolti cresceva in modo esponenziale, anche il gruppo di volontari si allargava e individuava un posto sicuro dove portare tutto il materiale: una grande cantina sotterranea, al riparo dalle bombe, che non doveva però diventare un semplice deposito ma un luogo nel quale favorire la circolazione della cultura e lo scambio delle idee. Uno spazio di resistenza culturale dove salvare i libri dalla furia iconoclasta della dittatura, oltre che un antidoto alla disperazione e alla paura. Col tempo, il lavoro appassionato di tanti volontari ha trasformato la cantina in una vera e propria biblioteca, con scaffali, arredi e tavoli creati artigianalmente su misura e un sistema di indicizzazione che consente di trovare velocemente un libro tra gli oltre undicimila che sono stati finora catalogati per tema e in ordine alfabetico. Presto la biblioteca sarà anche ampliata con una raccolta di film e documentari. Oggi è un luogo aperto a tutti, confortevole e molto frequentato, dove si possono consultare e prendere in prestito opere di letteratura araba e straniera, libri di filosofia, teologia, scienze sociali e tanti altri argomenti. Si possono trovare classici del presente e del passato come Cent’anni di solitudine di Garcìa Marquez, L’alchimista di Coelho e Don Chisciotte, ma anche testi di letteratura manageriale come Le sette regole per avere successo di Stephen Covey.
Molti dei libri salvati dall’orrore siriano sono stati anche dotati di un’ulteriore e originalissima forma di catalogazione che consentirà di risalire alla loro provenienza. I volontari hanno infatti annotato con cura e passione il luogo di ritrovamento di ciascun volume, per farli tornare nelle mani dei loro legittimi proprietari, se lo vorranno, quando la guerra civile sarà finita.
“Questi libri erano di proprietà della gente che è stata costretta a scappare dalle proprie case e ad abbandonare tutto. Questa biblioteca è dedicata a loro”, ci spiega Marvin, una ragazza siriana di 25 anni che per motivi di sicurezza si cela dietro a uno pseudonimo maschile, e che siamo riusciti a contattare via Facebook. Il tentativo di recuperare almeno una piccola parte del patrimonio culturale è anche un modo per resistere all’orrore discutendo di letteratura, di cultura, di vita, e ricorda molto da vicino quello che accadde a Sarajevo, durante il terribile assedio dei primi anni ’90. Anche nella città bosniaca la resistenza culturale fu un modo per ribellarsi contro le violenze quotidiane e tornare a vivere, uno straordinario atto di coraggio col quale la popolazione volle dimostrare che niente avrebbe distrutto il loro lato artistico e intellettuale. Che il patrimonio culturale andava difeso a qualunque costo. Una bibliotecaria, Aida Buturovic, rimase uccisa mentre cercava di strappare i volumi alle fiamme del rogo della biblioteca nazionale  di Sarajevo. In città nacquero gruppi di lettura, iniziative teatrali e artistiche. Una di queste, il progetto Ars Aevi, sarebbe addirittura sopravvissuta alla guerra confluendo poi nell’attuale museo di arte contemporanea, che oggi porta quello stesso nome. “Anche la nostra biblioteca, come tanti altri progetti culturali in corso oggi in Siria, è un modo per cercare di affrontare un assedio psicologico che è duro quanto quello fisico, se non di più”, ci dice Marvin, che è una delle coordinatrici di Humans of Syria, un’associazione di artisti siriani che raccontano su internet la resistenza quotidiana della popolazione. Darayya è stata infatti una delle principali roccaforti delle proteste anti-governative ed è tuttora al centro di uno scontro estenuante tra l’esercito regolare di Bashar al-Assad e alcuni gruppi islamisti locali. “Ogni giorno – prosegue la ragazza – piovono sulla città in media una trentina di barrel bomb, i micidiali barili bomba imbottiti di esplosivo, rottami e bulloni che uccidono e feriscono i civili in modo indiscriminato”. Alcune settimane fa sono rimasti feriti anche due degli ideatori della biblioteca, Abu Malek e Abu Al-Ezz, entrambi poco più che ventenni. Il primo, appassionato di pittura, ha dipinto nell’ultimo anno oltre una ventina di murales usando le pareti degli edifici distrutti come tele improvvisate. Il secondo è invece il ragazzo ritratto nella foto mentre sta studiando nella biblioteca di Darayya. È rimasto ferito alla testa dall’esplosione di una bomba e non ha potuto ricevere cure adeguate perché in città non mancano le attrezzature mediche. “Entrambi adesso stanno meglio – garantisce Marvin – e la loro resistenza, come quella dei giovani siriani, proseguirà a qualunque costo”.
RM

Sarajevo, rinasce la biblioteca

Werther e Quasimodo. Raskolnikov e Mersault. Tom Sawyer, Yossarian e tutti gli altri stanno finalmente tornando a casa. Nell’agosto del 1992, mentre osservava l’antica biblioteca di Sarajevo bruciare dalla finestra di casa sua, il poeta bosniaco Goran Simić aveva immaginato che i protagonisti di molti capolavori indimenticabili stessero volando via alla ricerca di un’altra dimora, insieme alla cenere nera che si levava dall’edificio sventrato dalle bombe incendiarie dei nazionalisti serbi. In appena tre giorni quelle bombe distrussero la Viječnica, la storica biblioteca nazionale e universitaria di Sarajevo, l’unico archivio nazionale del paese, cancellando con essa il patrimonio culturale della Bosnia multietnica. In poche ore furono spazzate via per sempre circa due milioni di opere, tra cui libri rari, manoscritti antichi e incunaboli del XV e del XVI secolo. Quell’orribile rogo fu il preludio del più lungo assedio di una città europea dai tempi della Seconda guerra mondiale, durante il quale oltre dodicimila sarajevesi rimasero uccisi, e riportò alla memoria il triste ammonimento di un altro poeta, Heinrich Heine, “dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”.

Ecco perché la riapertura ufficiale della biblioteca nazionale di Sarajevo, fissata per venerdì 9 maggio dopo un complesso restauro durato quasi diciotto anni, sarà un momento fortemente evocativo che testimonierà il trionfo della civiltà contro la barbarie, proprio come accadde a Mostar nel 2004, quando venne inaugurato il restauro del Ponte Vecchio, anch’esso abbattuto a cannonate durante il conflitto. La Vijećnica, restituita al suo antico splendore dopo enormi ostacoli organizzativi, burocratici e finanziari, riaprirà al pubblico nel giorno in cui l’Europa celebra la sconfitta del nazismo e l’unità del Vecchio Continente. E quello stesso giorno Sarajevo, la capitale europea che ha visto l’inizio e la conclusione del “Secolo breve”, ricorderà al mondo che i nazionalisti serbi bruciarono i libri proprio come i nazisti e che niente, neanche questo scintillante restauro, potrà lenire le ferite aperte durante la pagina più nera della recente storia europea. Ancora oggi, i lunghi giorni di un assedio durato oltre quattro anni e lo straziante ricordo delle migliaia di vittime civili restano ben scolpiti nella memoria della città e dei suoi abitanti.
La fisionomia esterna dell’edificio, risalente al 1894, è da tempo tornata quella originaria, con le splendide facciate rosso e ocra che si specchiano nelle acque del fiume Milijacka. Le foto rese pubbliche in anteprima hanno poi mostrato tutto lo sfarzo degli interni. Grazie al progetto originale ritrovato nell’archivio di Zagabria, intorno ai tremila metri quadrati di parquet sono stati riprodotti com’erano in precedenza i muri e i soffitti affrescati e decorati a mano, gli sfarzosi arabeschi e le finestre in legno, i vetri a mosaico e le porte intarsiate. Senza dimenticare la scalinata centrale in marmo, le cui macerie sono state per anni il simbolo dell’urbicidio della capitale bosniaca. La ricostruzione è costata sedici milioni di euro – oltre la metà dei quali erogati dall’Unione europea – e ogni ragionevole sforzo è stato compiuto per donare alla Vijecnica un aspetto esattamente uguale a prima. A cambiare, in parte, sarà invece la destinazione d’uso degli spazi interni: l’edificio non ospiterà più soltanto la biblioteca universitaria ma riacquisterà anche la funzione di sede di rappresentanza della città che aveva avuto fino al 1949. La municipalità di Sarajevo potrà disporre di uffici al primo e al secondo piano, mentre la biblioteca avrà spazi al piano terra, al mezzanino e al secondo piano. Alla cultura è stato destinato anche il piano interrato, che ospiterà un museo sulla storia della biblioteca, la caffetteria e il deposito librario, oltre a locali di servizio.
Ma nessun restauro, per quanto approfondito e fedele all’originale, potrà far dimenticare che appena il dieci per cento delle opere conservate al suo interno prima della guerra è scampato al grande rogo del 1992, un gesto criminale premeditato allo scopo di cancellare un passato comune. In tanti si prodigarono per salvarli, quei libri, ma l’eroica catena umana spontanea che si formò in quei giorni fu costretta a soccombere di fronte ai colpi d’obice e ai cecchini che colpivano senza pietà anche i volontari e i vigili del fuoco. Una giovane bibliotecaria, Aida Buturovic, perse la vita mentre cercava di strappare i volumi alle fiamme. I pochi resti di quell’immenso patrimonio librario è rimasto a lungo stivato in un rifugio antiatomico, prima di essere trasferito nei sotterranei del ministero dell’istruzione e in seguito in un’ex caserma dell’esercito jugoslavo. La rinascita del luogo simbolo di Sarajevo sarà suggellata con una grande cerimonia il 28 giugno, nel centenario dell’assassinio dell’erede al trono austroungarico Francesco Ferdinando, evento che innescò il Primo conflitto mondiale. In quell’occasione, l’Orchestra Filarmonica di Vienna diretta dal maestro Franz Welser-Möst si esibirà nell’antica biblioteca in un repertorio di brani di Haydn, Schubert, Berg, Brahms e Ravel.
RM