Oltre la porta un inferno senza ritorno

Avvenire, 17 marzo 2023

Da Riga (Lettonia)
Qui lo chiamano “Baigais gads”, l’anno orribile. Ebbe avvio nell’estate del 1940, quando le truppe sovietiche invasero il Paese e instaurarono un regime di terrore. Il 14 giugno di quell’anno oltre 15mila persone furono deportate in una sola notte. Gli arresti proseguirono a un ritmo incessante per mesi, facendo finire in prigione il presidente della Repubblica Karlis Ulmanis, il ministro degli Esteri Vilhelms Munters e migliaia di persone di tutte le età. Mosca insediò un governo fantoccio che votò per far aderire la Lettonia all’URSS sotto la minaccia di soldati armati, poi decretò la confisca delle proprietà e istituì tribunali speciali per punire “i traditori del popolo”. Seguì un anno intero di sovietizzazione, arresti, torture, esecuzioni, deportazioni e l’eliminazione sistematica di tutte le strutture di base della società civile. Fu in quella tragica estate del 1941 che un edificio al numero 61 di Brivibas Street, a Riga, divenne uno dei luoghi più temuti della capitale. Il famigerato NKVD, il Commissariato del popolo per gli affari interni antesignano del KGB, si insediò nelle sue stanze trasformando questo splendido palazzo in stile Art Nouveau nel centro nevralgico degli orrori del regime sovietico.

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“La mia Jugoslavia, un mondo perduto”

Avvenire, 25 febbraio 2023

“Voi due siete dall’altra parte del confine. Come se qualcuno avesse tracciato una linea attraverso il mio corpo. Ci hanno divisi, ci hanno divisi tutti. Hanno tracciato una linea di confine tra me, mia madre e mio padre. Ora c’è qualcuno che decide se posso vedere i miei genitori”. Non è una divisione generata solo dai checkpoint o dalle carte geografiche, bensì un’irrimediabile lacerazione dei rapporti umani quella di cui parla Vesna, la madre del protagonista di All’ombra del fico (traduzione di Patrizia Raveggi, Keller editore, pagg. 480, euro 20), ponderoso romanzo multi-generazionale ambientato nell’ultimo mezzo secolo di storia dei Balcani. Una saga familiare in cui la perdita dei legami personali diventa una potente metafora della disgregazione della Jugoslavia e dei radicali cambiamenti di prospettiva che derivarono dalla fine di quel mondo. Non a caso l’autore, lo sloveno Goran Vojnovic, è nato nel 1980 subito dopo la morte di Tito e appartiene a una generazione che si è ritrovata priva di identità in un Paese che all’improvviso cessò di esistere.

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L’artista che sfida Putin con i manifesti

Avvenire, 10 febbraio 2023

La mostra di opere d’arte di Elena Osipova doveva rimanere aperta nel centro di San Pietroburgo fino al 24 febbraio, primo anniversario dell’attacco russo all’Ucraina. Così avrebbe voluto l’anziana artista che aveva deciso di esporre una trentina di manifesti contro guerra nei locali del partito di opposizione russo Yabloko. Uno di essi mostra il volto di una bambina, i capelli biondi e gli occhi grandi, con la scritta “mamma ho paura della guerra” in lingua russa e ucraina. In un altro spicca invece una gru bianca in cui si legge “La Russia è in lutto. Si pente. La Russia non è Putin”.

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Rezak, sopravvissuto al decimo girone dell’inferno

Avvenire, 2 febbraio 2023

“I nostri carnefici non meritano il perdono, eppure io non sono mai riuscito a odiarli. I miei sentimenti nei confronti di quelli che durante la guerra bruciarono le nostre case e uccisero la nostra gente non sono cambiati. Non li odio. Ma per loro non dev’esserci alcuna pietà altrimenti potrebbero farlo di nuovo”. Trent’anni fa il giornalista e poeta bosniaco Rezak Hukanovic fu costretto a vivere l’inferno sulla Terra. Nel giugno 1992 venne rinchiuso insieme al suo figlio 16enne in uno dei quattro campi di concentramento allestiti dai nazionalisti serbi nei dintorni di Prijedor, la città-simbolo della pulizia etnica nei Balcani. Vi furono deportate migliaia di persone, molte delle quali non avrebbero più fatto ritorno. Hukanovic fu imprigionato per sei mesi nell’ex complesso minerario di Omarska, trasformato in un lager per musulmani e croati. Lì dentro ha visto la crudeltà e l’umiliazione diventare una perversa forma di divertimento e ha sperimentato sulla propria pelle l’inspiegabile sadismo di ex amici, conoscenti e vicini di casa trasfigurati in carnefici.
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“Sono un soldato ma anche un essere umano”

Avvenire, 14 gennaio 2023

“Sono un militare delle forze armate della Federazione Russa. Ma vorrei attirare l’attenzione sul fatto che sono anche un essere umano e un cittadino”: così inizia la lettera che il luogotenente Dmitry Vasilets, 27 anni, ha inviato ai suoi superiori per motivare il proprio rifiuto di tornare a combattere in Ucraina. Vasilets è il primo ufficiale russo incriminato in base alla nuova formulazione dell’articolo 332 del codice penale che prevede pene detentive fino a tre anni per chi si oppone all’ordine di un superiore in caso di conflitto armato o si rifiuta di partecipare alle ostilità.

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Meloni rivendica il Msi. La storia inventata e il partito impresentabile

di Davide Conti

Brescia 1974, la strage di Piazza della Loggia

«Me ne frego delle liturgie!», «onore ai fondatori e ai militanti!» e «non rinnego le mie idee!». Non sono cori da stadio da curva neofascista. Sono le dichiarazioni di Ignazio La Russa, Presidente del Senato, e di Isabella Rauti, sottosegretaria alla Difesa. Esponenti di primo piano della «comunità» post-fascista del governo Meloni. Entrambi hanno sentito il bisogno, nei giorni in cui ricorre il 75° anno della Costituzione nata dalla Resistenza, di celebrare la nascita del Msi ovvero di quel partito di reduci collaborazionisti di Salò che con la fondazione della Repubblica non ebbe mai nulla a che fare. A supporto di La Russa e Rauti è intervenuta ieri la Presidente del Consiglio (reduce dalle video-lacrime esposte al tempio ebraico di Roma) riproponendo falsi storici, omissioni e narrazioni posticce. E ora la Comunità ebraica di Roma e l’Unione delle comunità ebraiche tornano a condannare con forza questo «nostalgismo».
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La nuova Samarcanda nasce nel deserto

Il venerdì di Repubblica, 30 dicembre 2022

Per secoli fu la leggendaria città di Tamerlano, crocevia commerciale di uno dei più grandi imperi dell’antichità. Poi, per volere di Stalin, divenne la capitale della repubblica socialista sovietica dell’Uzbekistan. Adesso Samarcanda sta per diventare – più prosaicamente – la città di Shavkat Mirziyoyev, il presidente che vuole passare alla storia come il Gorbaciov uzbeko. Confermato al potere un anno fa da un plebiscito elettorale, Mirziyoyev è deciso a trasformarla nel centro delle rotte turistiche della nuova Via della seta, un investimento da miliardi di dollari in gran parte cinesi. È stato lui a volere fortemente la riapertura del Paese al turismo dopo anni di isolamento politico ed economico imposti dal suo predecessore Islom Karimov, abolendo i visti e rilanciando la città dopo la lunga parentesi post-sovietica. Fino al 2019 qui arrivava meno di mezzo milione di visitatori l’anno, in gran parte russi, ma l’amministrazione cittadina si prepara ad accoglierne due milioni da tutto il mondo già a partire dal 2023, quando la città ospiterà anche il summit dell’Unwto, l’organizzazione mondiale del turismo delle Nazioni Unite. Nella primavera scorsa è stato ultimato anche l’allargamento dell’aeroporto con il potenziamento delle rotte asiatiche, europee e statunitensi. Continua a leggere “La nuova Samarcanda nasce nel deserto”

Bosnia, la memoria tradita nella Disneyland serba

Avvenire, 16 dicembre 2022

Visegrad (Bosnia Erzegovina)
Ormai sono rimaste soltanto le acque del fiume a ricordarci quello che c’era prima. La Drina continua a scorrere incessante, maestosa, accarezzando la città di Visegrad e quel confine naturale tra oriente e occidente in cui musulmani, ebrei e cristiani convissero per oltre quattro secoli, prima che la sua fisionomia venisse cambiata per sempre. Un lungo processo di rimozione ha impedito di fare i conti con la tragica memoria del conflitto bosniaco e sta cercando di riscrivere il passato di queste terre. Il ponte in pietra a undici arcate che il visir ottomano Mehmed Paşa Sokolovic fece costruire ai piedi della città nel 1571, per collegare le due sponde del fiume, si staglia sul paesaggio circostante come un disegno divino. Non a caso Ivo Andric lo definì “un dono di Dio” ed eresse intorno ad esso un monumento letterario che gli sarebbe valso il premio Nobel. Ma esattamente trent’anni fa, agli albori delle guerre balcaniche, proprio da lì le milizie serbo-bosniache gettarono centinaia di cadaveri di musulmani, trasfigurando quel meraviglioso ponte ottomano in un tragico simbolo della pulizia etnica. Continua a leggere “Bosnia, la memoria tradita nella Disneyland serba”

Perché fallì il Golpe dell’estrema destra

Focus Storia, dicembre 2020

7 dicembre 1970. In una notte flagellata dalla pioggia inizia la notte dell’operazione “Tora Tora”, chiamata così in ricordo dell’attacco dei giapponesi a Pearl Harbour, il 7 dicembre del 1941. A dirigere il tentativo di colpo di Stato è il principe Junio Valerio Borghese, dalle stanze della sede romana del Fronte Nazionale, il movimento politico di estrema destra che lui stesso aveva fondato due anni prima. Il complotto è stato pianificato nei minimi dettagli per dare l’assalto ai centri nevralgici del Paese: gli obiettivi principali sono il Ministero della Difesa, il Ministero dell’Interno, la Rai, le centrali telefoniche e quelle del telegrafiche. Tra i congiurati ci sono figure affiliate ai movimenti neofascisti e alcuni membri di spicco dell’esercito e della Guardia Forestale. Il comando operativo si trova in un cantiere edile del quartiere di Montesacro ma un altro cospicuo gruppo di uomini è in attesa di ordini nella palestra dell’Associazione Paracadutisti al comando dell’ex tenente Sandro Saccucci. Intorno alle 20 e 30 un commando si introduce nell’armeria del Viminale impossessandosi di armi e mitragliatrici. Nel frattempo il generale dell’Aeronautica Giuseppe Casero e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio hanno preso posizione al Ministero della Difesa e una colonna di automezzi con a bordo circa duecento forestali armati è arrivata a poche centinaia di metri dal centro di produzione Rai di via Teulada. Continua a leggere “Perché fallì il Golpe dell’estrema destra”