Avvenire, 29 settembre 2023
È passato quasi un secolo da quando un giovane poeta greco approdò per la prima volta nell’allora remota e quasi sconosciuta isola di Skiathos, la più piccola dell’arcipelago delle Sporadi, affacciato sul mar Egeo. Fece amicizia con i pescatori e con i maestri d’ascia dei cantieri navali, restando ammaliato dalla bellezza e dalla semplicità di un paesaggio che avrebbe segnato profondamente la sua opera. Quel poeta si chiamava Giorgos Seferis e nel 1963, molti anni dopo quella visita, si sarebbe aggiudicato il premio Nobel per la letteratura. Oggi però stenterebbe forse a riconoscerla quell’isola, poiché nel frattempo le rotte aeree low cost l’hanno trasformata in una delle mete del turismo marittimo europeo e gran parte dei visitatori non sanno quanto sia ricca di storia e di spiritualità.
Ignorano, ad esempio, che in mezzo agli ulivi centenari che degradano verso il mare, confuso tra le innumerevoli gradazioni di verde e i colori cristallini dell’Egeo, c’è un luogo mitico del cristianesimo ortodosso in cui è stata scritta la storia della Grecia moderna. È il monastero di Panagia Evangelistria (Nostra Signora dell’Annunciazione), eretto tra il XVIII e il XIX secolo sulla rocca più alta dell’isola e divenuto uno dei simboli dell’indipendenza greca dal dominio turco. Per raggiungerlo bisogna arrampicandosi per chilometri, lasciandosi alle spalle il vivace centro cittadino con i suoi ristoranti tipici e le sue splendide spiagge incontaminate. Secondo la tradizione Skiathos significa “all’ombra del Monte Athos” ed è proprio dalla montagna sacra, cuore spirituale del cristianesimo ortodosso, che alla fine del XVIII secolo giunse un gruppo di monaci dissidenti che avevano lasciato il Sacro monte in dissenso con i rituali praticati. Quei monaci, noti come “Kollyvades”, volevano continuare a celebrare la cerimonia dei memoriali di domenica com’era avvenuto fino ad allora e non erano disposti a spostarla il sabato. Da fautori delle tradizioni sacre quali erano, premevano per un ritorno delle pratiche ortodosse tradizionali e della letteratura patristica. Quello che non potevano immaginare, però, era che questa remota oasi di silenzio lontana dal mondo sarebbe stata solcata da alcuni momenti storici cruciali della Grecia moderna.
Il monastero di Evangelistria fu il primo di una serie di luoghi sacri fondati dai Kollyvades per rendere grazie alla Vergine e celebrare la festa dell’Annunciazione, ma di lì a poco avrebbe testimoniato anche la rinatura scita della nazione dopo quasi due secoli di dominazione ottomana. Nel 1807 alcuni dei più importanti leader rivoluzionari greci, tra cui Theodoros Kolokotronis, Thymios Vlachavas e Andreas Miaoulis, si radunarono all’interno del monastero e pronunciarono il giuramento di libertà. Poi issarono un drappo con una croce bianca su sfondo celeste che era stato benedetto dal monaco Nifon, abate di Evangelistria. Sarebbe diventata la bandiera dello stato ellenico come la conosciamo ancora oggi. Quando, qualche anno più tardi, scoppiò la rivolta contro il giogo ottomano la comunità monastica offrì rifugio ai rivoluzionari in lotta e divenne uno dei punti nevralgici della guerra d’indipendenza. L’isola fu finalmente liberata nel 1829 ed entrò a far parte del nuovo Stato greco indipendente ma poco più di un secolo dopo, divenuta un nascondiglio per gli ebrei e i soldati alleati in fuga durante la Seconda guerra mondiale, venne duramente colpita dai cacciabombardieri nazisti. Era il 23 agosto 1944.
Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo l’isola aveva dato i natali ad alcuni grandi esponenti della lettera- greca contemporanea. Nelle sue piccole case di pietra a due piani, molte ancora conservate intatte, nacquero il poeta Zisis Oikonomou, lo scrittore Alexandros Moraitidis e soprattutto Alexandros Papadiamantis (1851-1911), considerato uno dei maggiori rappresentanti della letteratura greca moderna. Figlio di un prete greco-ortodosso di Skiathos, in gran parte della sua opera narrativa – composta da poesie, tre romanzi e una vasta produzione di racconti brevi – Papadiamantis rappresentò la povera società di pescatori, marinai e contadini dell’isola natia. « Per quanto mi riguarda – scrisse -, finché sono vivo, sono savio, e respiro, non cesserò mai di lodare con adorazione il mio Cristo, descrivere con amore la natura, e disegnare con parole e affetto i costumi originali greci».
Personalità controversa e difficile, da giovane aveva compiuto il percorso inverso dei monaci Kollyvades, recandosi sul Monte Athos con l’idea di farsi monaco. Ma rinunciò quasi subito, poiché non riusciva ad adattarsi alla vita solitaria e iniziò a guadagnarsi da vivere scrivendo romanzi d’appendice. Fu il primo a tradurre in greco il capolavoro di Dostoevskij Delitto e castigo e nel 1903 dette alle stampe L’assassina, unanimemente considerato il suo capolavoro e ristampato alcuni anni fa anche in traduzione italiana, un romanzo nel quale racconta la storia di Chadula, una contadina vedova che cerca di procurarsi da vivere usando erbe e intrugli per guarire gli abitanti del suo paesino, su un’isola tutta pietre e cespugli. Ma la durezza della vita è tale che spinge molti a chiedersi se valga davvero la pena continuare a vivere, finché la protagonista non decide di mettere fine alle sofferenze dei suoi compaesani, iniziando a uccidere tutte le bambine in cui si imbatte. Combinando abilmente registro colto e popolare, elementi del mito e della leggenda greca, Papadiamantis dipinge un quadro delle gravi privazioni imposte dalle usanze del villaggio nel XIX secolo e ritrae anche il coraggio e lo spirito di resistenza delle donne di quel tempo.
L’elemento che caratterizza maggiormente la sua opera è però lo stile narrativo: Papadiamantis usava infatti la “ katharevousa”, una variante artificiale e arcaicizzante della lingua greca, insieme al linguaggio dell’innografia ecclesiastica e al dialetto tipico di Skiathos. Un mosaico linguistico che gli è valso il soprannome di “poeta della prosa”. Oggi la strada principale dell’isola è intitolata a lui, e in una piccola traversa, all’interno di un edificio dall’architettura tipica greca, si trova la sua casa- museo con mobili e oggetti originali dell’epoca. Qui Papadiamandis trascorse gli ultimi anni della sua vita e morì nel 1911.