“L’eredità dei Troubles resta una ferita aperta e un rimedio universale non esiste. Servono onestà, integrità e compassione. La riconciliazione richiede il ripristino delle relazioni, una paziente ricostruzione della fiducia basata sul coraggio di dire la verità, oltre a una grande tolleranza. Ma questa legge va in senso esattamente contrario e non farà altro che acuire le divisioni all’interno della società”. I due vescovi primati della chiesa d’Irlanda, il cattolico Eamon Martin e l’anglicano John McDowell, avevano lanciato l’allarme alcuni mesi fa in un documento congiunto, esprimendo grande preoccupazione per la nuova legge di amnistia con la quale Londra intendeva chiudere i conti con il doloroso passato dell’Irlanda del Nord. Ma le loro voci, come quelle della società civile e dei partiti dell’intera isola d’Irlanda, sono rimaste del tutto inascoltate.
Dopo un tormentato percorso legislativo durato quasi tre anni la Camera dei Comuni ha approvato in via definitiva il Northern Ireland Troubles (Legacy and Reconciliation) Act respingendo gli ultimi emendamenti proposti dai Lord.
Una legge che garantirà innanzitutto l’immunità agli ex soldati britannici, ai membri delle forze di sicurezza e ai paramilitari che si sono resi colpevoli di reati tra il 1969 e il 1998. La verità e la giustizia sul passato sarà d’ora in avanti un tema di competenza esclusiva di un nuovo organismo di nomina governativa, una Commissione per la riconciliazione che esaminerà i casi più gravi e relazionerà i familiari delle vittime. Si calcola che gli omicidi irrisolti siano ancora oltre un migliaio: su di essi non potranno essere aperte nuove indagini penali o cause civili mentre i procedimenti in corso relativi ai trent’anni del conflitto dovranno essere chiusi entro il primo maggio 2024.
A rimanere inascoltato, in questi mesi, non è stato soltanto il grido d’allarme dei due primati. Il disegno di legge ha incontrato una strenua e unanime opposizione da parte di tutti i partiti politici dell’Irlanda del Nord, dei familiari delle vittime e delle Ong per i diritti umani che hanno ripetutamente accusato Londra di voler cancellare una volta per tutte un passato scomodo e doloroso a discapito della verità. Prima d’ora non c’era mai stata una simile convergenza di opinioni tra la comunità cattolico-nazionalisti e quella unionista-protestante. Entrambe hanno cercato fino all’ultimo di contrastare il provvedimento sostenendo che non favorirà la riconciliazione ma getterà benzina sul fuoco di un processo di pace che ha già subito parecchi scossoni dalla Brexit. Peraltro in un momento assai complicato per la politica nordirlandese, con le istituzioni condivise che sono sospese da quasi due anni e stanno attraversando l’ennesima fase di stallo.
Dalla firma degli Accordi del Venerdì Santo nel 1998 il percorso verso la riconciliazione in Irlanda del Nord è sempre stato ostacolato dal nodo della verità e della giustizia sul passato. Con il trascorrere degli anni l’apertura degli archivi ha contribuito anche a gettare una luce sempre più sinistra sull’operato dell’esercito e delle forze di sicurezza dello stato britannico. Molti processi tuttora in corso riguardano infatti i casi di collusione tra gli agenti delle forze della Corona e le squadracce lealiste che hanno causato la morte di centinaia di civili innocenti. A niente sono valsi gli appelli che chiedevano la creazione di un organismo indipendente con pieni poteri in grado d’indagare in base all’articolo 2 della Convenzione europea per i diritti umani. Nel vuoto sono cadute anche le richieste di istituire una Commissione per la verità e la giustizia sul modello del Sudafrica post-apartheid. “L’organismo creato con la nuova legge sull’amnistia sarà qualcosa di ben diverso dalla Truth and Reconciliation Commission del Sudafrica post-apartheid e anche dalla ‘giustizia di transizione’ sperimentata in Ruanda dopo il genocidio del 1995”, sottolinea Luisa Mallinder, docente di diritto internazionale umanitario alla Queens’ University di Belfast. “In altre società postbelliche, misure simili sono state funzionali alla riconciliazione perché hanno promosso narrazioni più inclusive del conflitto partendo dal riconoscimento delle esperienze delle vittime – prosegue la studiosa – ma nel caso dell’Irlanda del Nord la legge va nel senso contrario a quello auspicato, e per questo è stata respinta con decisione da tutti gli attori coinvolti mentre l’amnistia richiederebbe il consenso di tutte le parti interessate. I familiari delle vittime si sentono privati del loro diritto alla verità e ritengono che la legge sia stata studiata soltanto per proteggere i veterani dell’esercito salvaguardandoli da nuovi processi”. Alan Brecknell, che era ancora un bambino quando suo padre rimase ucciso in un attentato dei paramilitari lealisti protestanti nel 1975, alcuni giorni prima di Natale, sostiene che questa legge offende le vittime e i sopravvissuti. Oggi Brecknell lavora come ricercatore al Pat Finucane Centre di Belfast, una delle più autorevoli Ong irlandesi che si battono per la verità e la giustizia nei Troubles e assicura: “associazioni come la nostra continueranno comunque a svolgere ricerche e a lavorare con le famiglie delle vittime ma non collaboreremo mai con la nuova commissione istituita dal governo britannico”. Un giudizio senza appello nei confronti dell’amnistia decisa unilateralmente da Londra è arrivato anche dalle Nazioni Unite. “La legge confonde la riconciliazione con l’impunità ed è stata approvata senza un’adeguata consultazione delle vittime – hanno spiegato gli esperti giuridici dell’Onu – ponendo il Regno Unito in flagrante violazione dei suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani e creando un precedente dannoso per altri Paesi che escono da situazioni di conflitto”.
Inoltre l’amnistia generalizzata sta mettendo a dura prova i rapporti tra Londra e Dublino. Secondo il governo irlandese guidato dal conservatore Leo Varadkar la legge viola apertamente gli accordi internazionali raggiunti a Stormont House nel 2014, che stabilivano un approccio condiviso sul tema della giustizia e della memoria. A metà dicembre è stata ufficializzata l’apertura di un contenzioso alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo che era nell’aria da mesi: Dublino ritiene che la legge sia “un atto unilaterale incompatibile con la Convenzione Europea per i Diritti Umani, che scontenta le organizzazioni internazionali e, soprattutto, le famiglie delle vittime, ancora in attesa di verità e giustizia.
La Repubblica d’Irlanda aveva portato Londra in tribunale soltanto in un’altra occasione, nei primi anni dei Troubles. Nel 1971 presentò il primo caso interstatale di fronte alla Corte europea sostenendo che il Regno Unito aveva violato la Convenzione sottoponendo un gruppo di abitanti dei ghetti cattolici di Belfast a trattamenti inumani e degradanti nel corso degli interrogatori. Alcuni anni dopo, i giudici europei emisero una sentenza di condanna contro Londra che era destinata a passare alla storia. “Sulla base della precedente giurisprudenza della Corte europea – garantisce Mallinder – è molto probabile che il ricorso del governo irlandese contro la legge di amnistia sarà accolto favorevolmente”. Persino il presidente statunitense Joe Biden, orgoglioso delle sue radici irlandesi, nella sua ultima visita ufficiale a Dublino offrì a Varadkar pieno sostegno nella disputa con la Gran Bretagna. Ma forse non ci sarà il rischio di compromettere le relazioni anglo-irlandesi poiché la legge sull’amnistia, voluta a tutti i costi dai conservatori britannici, è stata duramente osteggiata dai laburisti e il loro leader, Keir Starmer, ha assicurato che se dovesse salire al governo la abrogherà senza esitazioni.