Georgofili, il dolore è ancora vivo

Avvenire, 27 maggio 2023


Da quella notte di trent’anni fa, in cui perse gran parte della sua famiglia, non c’è stato un giorno in cui Luigi Dainelli non abbia ripensato alle sue nipotine Nadia, 9 anni, e Caterina, appena 50 giorni. Furono inghiottite entrambe dal crollo della Torre dei Pulci insieme ai loro genitori, il padre Fabrizio Nencioni e la madre Angela Fiume, custode dell’Accademia dei Georgofili. L’autobomba che Cosa Nostra fece esplodere il 27 maggio 1993 a due passi dalla Galleria degli Uffizi li uccise tutti sul colpo insieme a Dario Capolicchio, 22enne studente universitario fuori sede che viveva nel palazzo di fronte. Altre quarantotto persone rimasero ferite.

“Né il tempo trascorso da allora, né la verità giudiziaria sono riusciti minimamente a lenire il nostro dolore”, garantisce Dainelli, che presiede l’associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili. A mitigare quello strazio non è servita neanche la recente cattura di Matteo Messina Denaro, l’ultimo mafioso condannato per la strage rimasto finora in libertà. “C’è ben poco da festeggiare, è stato preso dopo trent’anni di latitanza e non ha rivelato niente di quello sa sui mandanti esterni e sull’archivio segreto di Riina. Viene il dubbio che sia stato un arresto concordato e l’abbiano preso proprio perché ha promesso di non parlare”, sostiene Dainelli, con profonda amarezza. “Messina Denaro non merita alcun sentimento da parte nostra, neanche l’odio. Soltanto indifferenza”.
Oggi l’area della strage, nel cuore del centro di Firenze, è un luogo della memoria che mette i brividi. All’angolo tra via Lambertesca e via dei Georgofili, di fronte all’ingresso dell’Accademia, è stato collocato due anni fa “L’albero della pace”, una grande scultura in bronzo che raffigura una pianta di olivo. Per le comitive di turisti in visita agli Uffizi è un altro luogo da fotografare. Ma per i tanti fiorentini che ogni giorno passano di qui e si soffermano con rispetto, in ricordo delle vittime, rappresenta una ferita che non potrà rimarginarsi mai. “Neanche i nazisti osarono colpire gli Uffizi e il cuore dell’arte cittadina”, chiosa Roberto, che ha un negozio a pochi metri dal luogo della strage.
L’esplosione del 1993 interessò un’area di dodici ettari e colpì molti edifici, fra cui Palazzo Vecchio e il Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte. I danni al complesso artistico-monumentale degli Uffizi furono gravissimi: rimasero seriamente danneggiate le strutture murarie della Galleria, i collegamenti verticali, le scale, i lucernari, i soffitti e i tetti. Andarono completamente distrutti due dipinti del pittore caravaggesco Bartolomeo Manfredi e uno di Gherardo delle Notti ma ne rimasero danneggiati circa altri duecento, oltre a decine di pezzi archeologici e statue di grandi dimensioni. Complessivamente venne colpito in qualche modo circa un quarto delle opere conservate nel museo. Alla strage è seguita una campagna di restauri durata venticinque anni. L’ultimo quadro recuperato, Il giocatore di carte di Bartolomeo Manfredi, è stato presentato cinque anni fa dall’attuale direttore Eike Schmidt come simbolo della rinascita del museo. In questi giorni, in alcune sale appositamente inaugurate al piano terra, gli Uffizi ripropongono la mostra Risarcimento, composta da una sessantina di opere contemporanee che dopo l’attentato furono donate da decine di artisti di fama internazionale al fine di “risarcire” il patrimonio artistico così duramente colpito. Oggi queste opere rappresentano il segno tangibile che la civiltà non si cancella con le bombe, come ha detto lo stesso Schmidt.
Ma mentre l’arte è stata recuperata, il dolore dei familiari prosegue incessante. Anche perché – sottolinea Luigi Dainelli – sulla strage non è stata fatta ancora luce fino in fondo. “Secondo la Cassazione la trattativa Stato-mafia non c’è stata ma ci sono altre cinque sentenze che affermano il contrario. È un fatto che senza quella trattativa non ci sarebbero state neanche le stragi di Firenze e di Milano. E in fondo furono i magistrati dell’epoca a dire che dietro quegli attentati c’erano ‘menti raffinatissime’”. Dainelli ha ormai 86 anni ma continua a girare le scuole e le biblioteche per tenere viva la memoria di un lutto che non è solo familiare, ma nazionale. Continua a ricordare Fabrizio, Angela, Nadia, Dario. E la piccola Caterina, che quattro giorni prima dell’attentato era stata battezzata nella chiesa di San Carlo dei Lombardi, a due passi da Duomo. La stessa chiesa che di lì a poco avrebbe accolto le quattro bare della sua famiglia.

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