Quest’anno il “Bloomsday” di Joyce si terrà sabato 16 giugno alle 11 alla biblioteca di Sesto Fiorentino (FI)
Ogni anno gli appassionati dello scrittore irlandese si danno appuntamento proprio il 16 giugno per celebrare il “Bloomsday”, una delle date più famose della letteratura mondiale. Per gli appassionati italiani quest’anno c’è un motivo in più per festeggiare, ed è la nuova traduzione del romanzo, che sabato 16 giugno alle 11 sarà presentata alla biblioteca Ernesto Ragionieri di Sesto Fiorentino (FI) (piazza della biblioteca 4), alla presenza del traduttore e curatore Enrico Terrinoni e del filosofo Giulio Giorello.
Erano ancora gli anni ‘50 quando il grande anglista Giulio De Angelis fu definito “un pazzo” e “un imprudente” per aver intrapreso un’opera quasi proibitiva come la traduzione in italiano di Ulysses, il capolavoro di James Joyce. Nel 1960, dopo anni di lavoro, e senza disporre di approfondite conoscenze della letteratura e della storia irlandese, De Angelis fece uscire nella collana “Medusa” di Mondadori diretta da Elio Vittorini un’edizione destinata a rimanere per oltre mezzo secolo l’unica trasposizione in italiano. Le revisioni e gli aggiornamenti che negli anni successivi hanno arricchito quel lavoro pionieristico non sono bastate a evitare che uno dei testi fondamentali del letteratura contemporanea giungesse fino ai giorni nostri legato a canoni linguistici e interpretativi di un’altra epoca. Col passare del tempo, l’opera è divenuta un testo sempre meno leggibile da un pubblico italiano di non specialisti. Ecco perché era auspicabile che la scadenza dei diritti d’autore sulle opere di Joyce – caduta nel gennaio scorso – coincidesse con un’occasione di rilettura critica del grande romanzo dello scrittore dublinese. A cogliere al volo tale opportunità, bruciando sul tempo anche la concorrenza di editori più specializzati, è stata Newton Compton, che ha dato alle stampe una nuova edizione italiana tradotta e curata da Enrico Terrinoni, corredandola con un apparato critico paragonabile a quello delle grandi edizioni annotate in lingua inglese. Docente di letteratura inglese all’Università di Perugia, già autore di numerosi scritti su Joyce, Terrinoni ha impiegato quattro anni di lavoro per ultimare l’opera, e adesso basta sfogliare le due edizioni per notare subito grandi differenze stilistiche e lessicali. “La mia versione mira a rispettare la colloquialità del testo – ci spiega – Ulysses è un libro tutt’altro che inaccessibile, è al contrario un libro comico, con un linguaggio raramente aulico, è un’opera intesa da Joyce per il lettore comune”. Già, il lettore comune. Proprio quello che di fronte alla consistenza del volume e alla scarsa punteggiatura tipica del flusso di coscienza joyciano era solito scappare a gambe levate, abbandonando il volume alle prime pagine o, peggio, a condannarlo per sempre alla polvere delle librerie. A detta di molti critici De Angelis non era riuscito a cogliere fino in fondo lo humour di Joyce mentre questa nuova traduzione, oltre che essere resa in un italiano inevitabilmente più moderno, cerca di riprodurre per quanto possibile tutta la comicità del libro, dando anche la giusta importanza alla componente linguistica e culturale irlandese. Terrinoni ci è riuscito seguendo le orme di illustri studiosi irlandesi come Declan Kiberd, Seamus Deane, John McCourt e altri, che lavorano da anni per affermare il carattere popolare di Joyce, partendo dalla riscoperta linguistica e dalle potenzialità semantiche del suo capolavoro. Ma sostiene che non avrebbe mai potuto tradurre Ulysses senza un apparato di solide conoscenze critiche maturato in lunghi anni di lavoro a Dublino, e gli studi condotti in Italia nell’ambito della scuola joyciana di Giorgio Melchiori, ora proseguita da Franca Ruggieri. “Melchiori fu uno dei consulenti di De Angelis, entrambi grandi traduttori. Il mio lavoro, grazie anche alla consulenza di Carlo Bigazzi, tenta di emanciparsi da quell’impresa pionieristica, ma non posso non provare un debito di riconoscenza nei loro confronti”. Terrinoni aveva già curato la trasposizione di opere di autori in lingua inglese come l’irlandese Brendan Behan e gli scozzesi Muriel Spark e John Burnside, “ma con Joyce – sostiene – siamo su un altro pianeta. Ulisse è un testo “plurale” che richiede una miriade di strategie traduttive. Ogni episodio possiede la propria tecnica, e gli stili con cui Joyce si cimenta sono innumerevoli. La mia traduzione ha seguito il principio dell’inclusività: quando un’espressione si scompone in ramificazioni multiple, ci vuole una resa molteplice, polisemica, per creare un’ambiguità parallela a quella originale. È il lettore ad avere sempre l’ultima parola”.
RM