reportage uscito ieri su Avvenire
Il nuovo e avveniristico terminal 2 dell’aeroporto di Dublino, costato oltre 600 milioni di euro, è diventato la metafora della crisi irlandese. Doveva rappresentare il simbolo della solidità economica del paese e il nuovo ponte per collegare l’Irlanda agli Stati Uniti, al Canada e all’Australia, ma da quando è stato inaugurato nel novembre scorso – con il paese divorato dalla crisi – è subito diventato il punto di raccolta per le nuove generazioni di emigranti. Quasi una versione moderna e tecnologica delle banchine dei porti dai quali, a partire dal XIX secolo, milioni di irlandesi salparono per scampare alla miseria e cercare fortuna Oltreoceano. Oggi come allora, l’Irlanda assiste inerme alla fuga di un’intera generazione convinta di non avere alcun futuro a casa propria. Ma assai diversamente da allora, il paese possiede adesso alcune tra le migliori scuole e università del mondo dove i giovani si formano sapendo che molto probabilmente troveranno lavoro soltanto all’estero. Nel 2010, per la prima volta dopo tanti anni, il numero di irlandesi che hanno scelto di emigrare – oltre 40mila – ha superato il numero degli immigrati. Una tendenza che è proseguita anche quest’anno, in un paese che appena due anni fa vantava la piena occupazione e il secondo reddito pro-capite più elevato dell’Unione Europea. Soltanto nelle tre settimane dell’ultima campagna elettorale circa 3mila persone hanno lasciato l’Irlanda, semplicemente perché non avevano alcun motivo per restare. A convincerli è stata anche la paura, tramandata di padre in figlio, di ritrovarsi come trent’anni fa, quando un terzo della popolazione viveva al di sotto della soglia di povertà. “Ma stavolta il distacco è meno doloroso – spiega Tiziana Brancaccio, docente di economia all’University College di Dublino – perché quella che sta emigrando oggi è la generazione che negli ultimi quindici anni ha sperimentato l’emigrazione per divertimento e sa che può tornare a casa spesso grazie ai voli economici e può vedere la famiglia quando vuole attraverso Skype. È anche un’emigrazione meno disperata, perché i giovani sono molto più consapevoli del valore dei loro titoli di studio. Sicuramente gli anni del boom economico hanno dato agli irlandesi una nuova fiducia in loro stessi. Oggi sanno di avere le carte in regola per riuscire e di aver bisogno soltanto di opportunità, e questo li aiuterà psicologicamente”. A dare speranza è anche l’ineluttabile svolta politica arrivata puntualmente alla fine di febbraio, attraverso l’esito delle urne. Le ultime elezioni hanno portato in Irlanda il più clamoroso cambiamento dai tempi della guerra civile del 1922, con il principale partito politico del paese – il Fianna Fail – che ha visto crollare i propri consensi dopo aver governato per oltre sessanta degli ultimi ottant’anni, mentre il suo principale oppositore – il centrista Fine Gael – ha ottenuto il miglior risultato della sua storia. Nato sull’onda del malcontento popolare per la crisi economica, il nuovo governo formato da Enda Kenny, leader di Fine Gael, insieme ai laburisti è ora chiamato all’ardua impresa di ripagare debiti per 85 miliardi di euro in un paese il cui tasso di disoccupazione ha superato la soglia del quattordici per cento ed è triplicato rispetto a quattro anni fa. La contabilità della crisi irlandese parla chiaro: il piano di salvataggio lanciato dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale alla fine del 2010 costerà in media nuove tasse per 3900 euro a ogni famiglia irlandese, corpose riduzioni dei minimi salariali e la perdita di decine di migliaia di posti pubblici. Nel centro di Dublino aumenta ogni giorno il numero di uffici in affitto e locali vuoti, a conferma che la situazione è grave anche nel settore privato. All’inizio di febbraio la storica catena di librerie Waterstones ha chiuso due centralissimi megastore, quello di Dawson street (attivo da 25 anni) e quello di Jervis street, mandando a casa una cinquantina di dipendenti. La catena Hughes&Hughes è fallita miseramente appena un anno fa mentre HMV, colosso della musica e dei dvd, è stato prima costretto a una campagna di saldi senza precedenti e poi ha annunciato la chiusura di una decina di negozi per far fronte al crollo dei fatturati. Eppure, nonostante la crisi dei consumi interni, nelle città principali non si respira un vero senso di depressione, i pub e i ristoranti sono pieni come qualche anno fa e il turismo – la principale industria del paese – non ha risentito più di tanto della crisi bancaria e immobiliare. A preoccupare è semmai l’emergenza abitativa: Focus Ireland, un ente no profit fondato un quarto di secolo fa da suor Stanislaus Kennedy, ha lanciato un programma speciale per combattere il fenomeno dei senza fissa dimora a lungo termine, previsto in aumento nei prossimi anni. Il piano si propone di garantire un alloggio entro il 2013 a 2500 famiglie senza casa o a rischio di rimanervi, un numero quasi doppio rispetto a quelle aiutate negli ultimi cinque anni. “Ciononostante – assicura l’economista italiana di Ucd – gli irlandesi hanno la concreta speranza di avere il potenziale per sopravvivere a questa crisi, anche se di certo non sarà possibile tornare agli stili di vita cui la Celtic Tiger ci aveva abituato”.
Riccardo Michelucci