L’entrata nel pubblico dominio delle opere di James Joyce, ormai due anni fa, ha dato nuovo impulso anche in Italia agli studi sul grande autore irlandese. La rinnovata attenzione nei suoi confronti ha prodotto nuove traduzioni di quello che è considerato il suo capolavoro, Ulysses, realizzate prima da Enrico Terrinoni per Newton Compton, poi da Gianni Celati per Einaudi. Ma ha anche favorito una rilettura critica del corpus letterario joyceano con una particolare attenzione alle esigenze del lettore comune. Gli studiosi hanno riservato riscontri molto lusinghieri in particolare all’Ulisse tradotto da Terrinoni, validandone non solo l’accuratezza e la vitalità, ma anche la filosofia di fondo con la quale è stata compiuta la nuova trasposizione, il cui obiettivo era quello di “restituire Joyce al popolo”, liberandolo una volta per tutte da quell’aura di illeggibilità che lo imprigionava da sempre. E allora chi, meglio dello stesso Terrinoni, poteva fornire al pubblico italiano una guida alla rilettura di questo grande classico della letteratura del XX secolo? Nei prossimi giorni uscirà Attraverso uno specchio oscuro. Irlanda e Inghilterra nell’Ulisse di James Joyce (Universitas Studiorum), un volume che rappresenta un inedito assoluto, almeno per gli studi joyceani in Italia.
Traduttore e studioso di Joyce ormai tra i più richiesti e stimati del nostro paese, Enrico Terrinoni ci offre una nuova mappatura critica dell’irlandesità in Ulysses evidenziando nel dettaglio quella contrapposizione basilare tra Irlanda e Inghilterra che costituisce uno dei tratti fondanti dell’opera, e che nel nostro paese era stato finora incredibilmente sottovalutato, spesso addirittura trascurato, al pari del legame profondo e inscindibile dell’opera di Joyce con l’Irlanda. Tanti fattori hanno contribuito ad allontanarlo dalle sue origini, a partire dalla scelta dell’esilio che lo tenne lontano dal suo paese per gran parte della sua vita, fino al ripudio nei confronti di alcuni aspetti della cultura irlandese. Fatto sta che in Italia, anche per banali motivi linguistici, si è ancora abituati a vedere Joyce come uno scrittore appartenente alla tradizione inglese. O al limite come “un irlandese anglofono educato a una cultura sostanzialmente aliena”, secondo la celebre descrizione del compianto Giorgio Melchiori, padre degli studi joyceani in Italia. Terrinoni fa invece tesoro delle riletture compiute in anni recenti dagli studi postcoloniali e da uno dei suoi capostipiti irlandesi (il professor Declan Kiberd dell’Università di Notre Dame, autore del fondamentale studio Ulysses and Us del 2009) per sostenere con forza la necessità di leggere Ulysses come un testo essenzialmente e profondamente irlandese, e ci invita a seguirlo in un percorso che parte dalla famosa frase di San Paolo nella prima lettera ai Corinzi, “Videmus nunc per speculum in aenigmate”, cioè “adesso vediamo le cose attraverso uno specchio, nell’oscurità”. Poiché la tecnica del libro si basa su un’inversione costante di significati, Terrinoni sostiene che per decifrare i sottili tranelli linguistici dell’opera sia necessario leggerla come in uno specchio. Il suo libro parte infatti dal presupposto che l’inizio e la fine di Ulysses coincidano, e quindi non esamina il capolavoro di Joyce a partire dal principio ma dalla sua conclusione, cioè dal capitolo “Penelope”, da molti considerato l’episodio-chiave dell’opera. È quindi una sorta di viaggio a ritroso, utile per individuare il senso profondo di una narrazione che procede al contrario e che, lungi dal rappresentare “un testo scomposto, opera di un proletario autodidatta” – come lo definì snobisticamente l’inglese Virginia Woolf – evidenzia al contrario un bisogno d’ordine ravvisabile nell’intelaiatura simbolica e nella sua struttura trinitaria.
Secondo Terrinoni è impossibile leggere in profondità il capolavoro di Joyce senza gettare uno sguardo approfondito al contesto storico e sociale dell’Irlanda dell’epoca, poiché il libro si compone di un caleidoscopio di personaggi e immagini, di miti e allusioni talvolta subliminali al suo paese e alla teologia della religione cattolica, veri e propri temi dominanti dell’opera. Lo stesso Joyce – peraltro ammiratore del movimento feniano che si batté con le armi per l’emancipazione dal giogo inglese – sosteneva che la cultura irlandese avrebbe dovuto rimanere ancorata alla tradizione cattolica europea, anziché dedicarsi allo scimmiottamento della civiltà inglese. Dall’attenzione alle tematiche del folklore gaelico ai continui riferimenti alla lotta per l’indipendenza – in particolare la rivolta anti-inglese della Pasqua 1916 -, dalle continue citazioni alla vita e all’opera di Shakespeare all’universo di micronarrazioni che trattano temi come la patria, la famiglia, la religione, la paternità e infiniti altri: attraverso una complessa architettura linguistica e un utilizzo strumentale della storia e delle sue rappresentazioni, Joyce voleva lanciare con Ulysses un atto di sfida nei confronti della tradizione inglese e compiere un tentativo di autodeterminazione culturale creando il primo grande poema epico per il suo paese. Non a caso Richard Ellmann, il suo maggior biografo, suggerì che l’obiettivo politico di Joyce era l’emancipazione dell’Irlanda. Quanto allo “specchio” usato da Terrinoni, ha grandi meriti nell’aiutarci a decifrare l’affascinante mistero della sua opera.
RM