In memoria di Giulio Giorello (1945-2020), grande filosofo della scienza, insostituibile ispiratore e amico, che amava l’Irlanda perché amava la libertà
Riannodando i fili della memoria mi accorgo che ormai ci conoscevamo da quasi vent’anni. Da quel pomeriggio del 2001, un giorno per niente casuale – il 5 maggio – in cui sei sceso a Firenze per commemorare Bobby Sands. Invitato da un gruppo di giovani – alcuni tuoi ex allievi – e dal sottoscritto, che allora ti conosceva soltanto di fama. Quella di grande epistemologo, certo, ma anche quella di vorace conoscitore dell’Irlanda. Era il ventennale della morte di colui che hai sempre considerato un’icona della lotta per la libertà. Non solo irlandese ma mondiale. Fu una serata memorabile di parole, di musica, di ricordi. Ricordo che ti colpì molto il luogo dove avevamo organizzato l’incontro, al quale presero parte anche Silvia Calamati, Melita Cataldi e il gruppo musicale dei Whisky Trail. Una chiesa non sconsacrata del centro di Firenze, tappezzata per l’occasione di bandiere irlandesi, di foto di Bobby Sands. Tu indossavi un paio di occhiali scuri a causa di una congiuntivite e lasciasti tutti a bocca aperta per il tuo commovente ricordo di Sands. Ma a colpirmi ancor più furono la tua disponibilità e la tua generosità. Le stesse che avresti mostrato qualche anno dopo, quando venni a trovarti in un albergo di Firenze per parlarti del progetto cui stavo lavorando: un “libro nero” degli inglesi in Irlanda. Ricordo il tuo sguardo incuriosito, le tue parole di incoraggiamento, gli immancabili consigli bibliografici. “In effetti in Italia di un volume così ci sarebbe proprio bisogno”, mi hai detto. Non erano parole di circostanza e me l’avresti dimostrato un paio d’anni dopo, accettando con entusiasmo di scriverne la prefazione. Non mi sembrava vero, te lo confesso, che un gigante della cultura italiana come te potesse accettare la proposta di un giovane giornalista ma poi capii che la tua grandezza era proprio quella di saperti calare appieno nelle realtà in cui credevi. E quindi di andare a parlare anche nei posti più remoti, senza alcuno snobismo, del tutto privo della spocchia di molti tuoi pur meno brillanti colleghi accademici. Poco importava che di fronte a te ci fossero grandi platee letterarie o televisive, oppure piccoli circoli di periferia, festival minori o università occupate: se sentivi che lo spirito era quello giusto, se ti andavano a genio gli organizzatori e gli argomenti che proponevano, tu non ti tiravi indietro, non dicevi mai di no. Dialogavi con tutti, trasmettendo la sensazione palpabile del piacere della cultura, del godimento della lettura. Conferenze, presentazioni, incontri, interviste. Un paio di appunti su un foglio, gli occhiali sul tavolo e un libro in mano a pochi centimetri dagli occhi. Non ti risparmiavi mai. Soprattutto se c’erano di mezzo l’Irlanda e la causa repubblicana, dove con la tua cultura sterminata riuscivi sempre a infilare l’illuminismo radicale, le etiche senza dio, John Stuart Mill che stava accanto a Bobby Sands, Spinoza e Bruno a fianco di James Joyce. Ulysses, mi confessasti una volta, era il libro che tenevi quasi sempre sul comodino, “perché andrebbe riletto almeno una volta l’anno”. Da allora è nato un rapporto speciale, scandito da tappe memorabili. Firenze, Roma, Milano, Trento, Dublino, solo per citare le principali. E dopo ogni conferenza o presentazione non mancava mai la tappa al pub, come ogni buon irlandese, ma sempre con leggerezza, generosità, affetto. La tua figura alta e un po’ sbilenca, l’andatura oscillante, le camicie e le giacche stropicciate, lo sguardo ironico, la gesticolazione con le mani, gli occhi che sprizzavano una curiosità quasi fanciullesca. “Potete contare su di me. Per Bobby ci sono sempre”, mi avevi ripetuto al telefono alla metà di febbraio, poche settimane prima di essere colpito da questo dannato virus. A metà maggio avremmo dovuto vederci al salone di Torino, insieme al comune amico Enrico Terrinoni, per presentare gli scritti inediti di Bobby Sands che ho curato con lui. Adesso sembra incredibile pensare che non sarai più fisicamente con noi, e quel libro che avremmo tanto voluto presentare insieme a te soffrirà della tua incolmabile mancanza ancora prima di andare in stampa. Dedicartelo era il minimo che potevamo fare. Grazie ancora di tutto, “comrade”.