L’assedio è finito. Gli uomini neri dell’Isis se ne vanno umiliati. Camminano in fila indiana con l’incedere di un esercito in rotta. I Turchi ne coprono la ritirata. Le giovani kurde si abbracciano, sorridono, salgono la collina di terra con bandiere verdi, le braccia levate al cielo. Pare quasi che solo guardando da lassù, i fossati e i ripari dove per 134 giorni hanno messo in gioco la vita e perfino qualcosa di più, possano credere che sia tutto vero. Che il 26 gennaio del 2015 sia il giorno in cui hanno scritto la storia di un paese che non esiste e di una città che insegna a restituire un senso all’idea di libertà. Malgrado le apparenze, l’ipocrisia, il cinico calcolo geopolitico, in un certo senso Kobanê non è mai stata sola. Perché le donne, gli uomini, i vecchi e i bambini che lì hanno saputo morire e resistere difendevano la dimensione umana tra le macerie di una città che per più di quattro mesi è stata forse il principale teatro della guerra mondiale tra la vita e la morte. Ha vinto, per ora, la voglia di vivere. Hanno vinto le mongolfiere, quelle che fanno volare la speranza come racconta il reportage di Eliana Caramelli.