Ci sono storie troppo belle e significative per non renderle di pubblico dominio, anche se per raccontarle è necessario rivivere un passato carico di orrori, violenze e privazioni. Il viaggio a ritroso nella propria infanzia compiuto da Juliana Buhring insieme alle sue sorelle Kristina e Celeste è stato lungo e doloroso ma allo stesso tempo catartico e dunque necessario a segnare un confine tra un ‘prima’ e un ‘dopo’. Il risultato è contenuto nel volume Not Without My Sister, una testimonianza brutale e scioccante sul mondo delle sette religiose e sull’annientamento psicologico che queste sono in grado di esercitare sulle persone, in particolare sui minori. Nella loro infanzia Juliana, Kristina e Celeste sono state private dei diritti più elementari come l’istruzione e le cure mediche e hanno vissuto in un mondo fatto di abusi sessuali e torture fisiche e psicologiche all’interno dei “Bambini di Dio”, una setta perversa dedita alla pedofilia. “All’età di sei anni – racconta Juliana – sono stata mandata in un centro di addestramento della setta. Lì non c’era istruzione, veniva insegnato solo ciò che era indicato dal culto. La mia vita e quella degli altri ragazzi che si trovavano nella mia stessa condizione erano come quelle di un regime militare. Si andava ovunque marciando, venivamo puniti fortemente se si metteva in discussione il loro insegnamento o se si voleva una vita diversa. Un forte condizionamento, un lavaggio del cervello e un indottrinamento che non davano nessuna possibilità di scelta. Sono stata portata via dai miei genitori quando avevo solo tre anni. Avevamo un documento e chi aveva il pezzo di carta era in sostanza il tutore, ero insomma di loro proprietà”.
Il libro, pubblicato in Inghilterra nel 2006 dove ha venduto oltre 500.000 copie, è stato tradotto in una decina di lingue ma non era ancora arrivato in Italia. Il merito di avercelo finalmente portato è della casa editrice Menthalia, che da qualche giorno ha mandato in libreria l’edizione italiana col titolo Essere innocenti. Ma è necessario chiarire ogni equivoco: la storia che le sorelle Buhring raccontano in queste pagine intense e non prive di particolari agghiaccianti sulla loro infanzia non è soltanto un coraggioso atto di denuncia contro le sette e le conseguenze devastanti che queste possono avere sulla vita dei minori. È soprattutto la storia di una straordinaria rinascita interiore che ha consentito alle protagoniste di maturare un’aspirazione alla libertà che è stata la condizione imprescindibile della loro successiva lotta per emanciparsi dalla setta. “Il mio desiderio di fuggire da quella condizione è maturata all’età di 14 anni – spiega Juliana – ero molto piccola e avevo capito che esisteva un mondo al di fuori e che quello che ci dicevano gli adulti non corrispondeva alla verità. Quando dissi loro che volevo lasciare il culto, mi hanno mandato in un centro di addestramento molto duro per essere ancora più indottrinata. Così, crescendo ho imparato a sopprimere il mio desiderio di ribellarmi e di fare domande”. Il successo eccezionale riscosso dal libro in Gran Bretagna ha innescato una pressione mediatica che ha infine obbligato la setta a sciogliersi. Raccontando la loro liberazione, le sorelle Buhring sono dunque riuscite a regalare la libertà a tante altre vittime, magari giovanissime, dei “Bambini di Dio”. Adesso Juliana ha 31 anni (23 dei quali vissuti nella setta) e in queste settimane sta girando l’Italia per presentare il libro e per continuare a combattere una battaglia che la vede in prima linea per i diritti dei minori. Con l’organizzazione no profit Safe Passage Foundation, della quale è cofondatrice e attivista, aiuta i ragazzi come lei a reinserirsi nella società e a ottenere assistenza psicologica ed economica.
RM