Rezak, sopravvissuto al decimo girone dell’inferno

Avvenire, 2 febbraio 2023

“I nostri carnefici non meritano il perdono, eppure io non sono mai riuscito a odiarli. I miei sentimenti nei confronti di quelli che durante la guerra bruciarono le nostre case e uccisero la nostra gente non sono cambiati. Non li odio. Ma per loro non dev’esserci alcuna pietà altrimenti potrebbero farlo di nuovo”. Trent’anni fa il giornalista e poeta bosniaco Rezak Hukanovic fu costretto a vivere l’inferno sulla Terra. Nel giugno 1992 venne rinchiuso insieme al suo figlio 16enne in uno dei quattro campi di concentramento allestiti dai nazionalisti serbi nei dintorni di Prijedor, la città-simbolo della pulizia etnica nei Balcani. Vi furono deportate migliaia di persone, molte delle quali non avrebbero più fatto ritorno. Hukanovic fu imprigionato per sei mesi nell’ex complesso minerario di Omarska, trasformato in un lager per musulmani e croati. Lì dentro ha visto la crudeltà e l’umiliazione diventare una perversa forma di divertimento e ha sperimentato sulla propria pelle l’inspiegabile sadismo di ex amici, conoscenti e vicini di casa trasfigurati in carnefici.
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“Sono un soldato ma anche un essere umano”

Avvenire, 14 gennaio 2023

“Sono un militare delle forze armate della Federazione Russa. Ma vorrei attirare l’attenzione sul fatto che sono anche un essere umano e un cittadino”: così inizia la lettera che il luogotenente Dmitry Vasilets, 27 anni, ha inviato ai suoi superiori per motivare il proprio rifiuto di tornare a combattere in Ucraina. Vasilets è il primo ufficiale russo incriminato in base alla nuova formulazione dell’articolo 332 del codice penale che prevede pene detentive fino a tre anni per chi si oppone all’ordine di un superiore in caso di conflitto armato o si rifiuta di partecipare alle ostilità.

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Meloni rivendica il Msi. La storia inventata e il partito impresentabile

di Davide Conti

Brescia 1974, la strage di Piazza della Loggia

«Me ne frego delle liturgie!», «onore ai fondatori e ai militanti!» e «non rinnego le mie idee!». Non sono cori da stadio da curva neofascista. Sono le dichiarazioni di Ignazio La Russa, Presidente del Senato, e di Isabella Rauti, sottosegretaria alla Difesa. Esponenti di primo piano della «comunità» post-fascista del governo Meloni. Entrambi hanno sentito il bisogno, nei giorni in cui ricorre il 75° anno della Costituzione nata dalla Resistenza, di celebrare la nascita del Msi ovvero di quel partito di reduci collaborazionisti di Salò che con la fondazione della Repubblica non ebbe mai nulla a che fare. A supporto di La Russa e Rauti è intervenuta ieri la Presidente del Consiglio (reduce dalle video-lacrime esposte al tempio ebraico di Roma) riproponendo falsi storici, omissioni e narrazioni posticce. E ora la Comunità ebraica di Roma e l’Unione delle comunità ebraiche tornano a condannare con forza questo «nostalgismo».
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La nuova Samarcanda nasce nel deserto

Il venerdì di Repubblica, 30 dicembre 2022

Per secoli fu la leggendaria città di Tamerlano, crocevia commerciale di uno dei più grandi imperi dell’antichità. Poi, per volere di Stalin, divenne la capitale della repubblica socialista sovietica dell’Uzbekistan. Adesso Samarcanda sta per diventare – più prosaicamente – la città di Shavkat Mirziyoyev, il presidente che vuole passare alla storia come il Gorbaciov uzbeko. Confermato al potere un anno fa da un plebiscito elettorale, Mirziyoyev è deciso a trasformarla nel centro delle rotte turistiche della nuova Via della seta, un investimento da miliardi di dollari in gran parte cinesi. È stato lui a volere fortemente la riapertura del Paese al turismo dopo anni di isolamento politico ed economico imposti dal suo predecessore Islom Karimov, abolendo i visti e rilanciando la città dopo la lunga parentesi post-sovietica. Fino al 2019 qui arrivava meno di mezzo milione di visitatori l’anno, in gran parte russi, ma l’amministrazione cittadina si prepara ad accoglierne due milioni da tutto il mondo già a partire dal 2023, quando la città ospiterà anche il summit dell’Unwto, l’organizzazione mondiale del turismo delle Nazioni Unite. Nella primavera scorsa è stato ultimato anche l’allargamento dell’aeroporto con il potenziamento delle rotte asiatiche, europee e statunitensi. Continua a leggere “La nuova Samarcanda nasce nel deserto”

Bosnia, la memoria tradita nella Disneyland serba

Avvenire, 16 dicembre 2022

Visegrad (Bosnia Erzegovina)
Ormai sono rimaste soltanto le acque del fiume a ricordarci quello che c’era prima. La Drina continua a scorrere incessante, maestosa, accarezzando la città di Visegrad e quel confine naturale tra oriente e occidente in cui musulmani, ebrei e cristiani convissero per oltre quattro secoli, prima che la sua fisionomia venisse cambiata per sempre. Un lungo processo di rimozione ha impedito di fare i conti con la tragica memoria del conflitto bosniaco e sta cercando di riscrivere il passato di queste terre. Il ponte in pietra a undici arcate che il visir ottomano Mehmed Paşa Sokolovic fece costruire ai piedi della città nel 1571, per collegare le due sponde del fiume, si staglia sul paesaggio circostante come un disegno divino. Non a caso Ivo Andric lo definì “un dono di Dio” ed eresse intorno ad esso un monumento letterario che gli sarebbe valso il premio Nobel. Ma esattamente trent’anni fa, agli albori delle guerre balcaniche, proprio da lì le milizie serbo-bosniache gettarono centinaia di cadaveri di musulmani, trasfigurando quel meraviglioso ponte ottomano in un tragico simbolo della pulizia etnica. Continua a leggere “Bosnia, la memoria tradita nella Disneyland serba”

Perché fallì il Golpe dell’estrema destra

Focus Storia, dicembre 2020

7 dicembre 1970. In una notte flagellata dalla pioggia inizia la notte dell’operazione “Tora Tora”, chiamata così in ricordo dell’attacco dei giapponesi a Pearl Harbour, il 7 dicembre del 1941. A dirigere il tentativo di colpo di Stato è il principe Junio Valerio Borghese, dalle stanze della sede romana del Fronte Nazionale, il movimento politico di estrema destra che lui stesso aveva fondato due anni prima. Il complotto è stato pianificato nei minimi dettagli per dare l’assalto ai centri nevralgici del Paese: gli obiettivi principali sono il Ministero della Difesa, il Ministero dell’Interno, la Rai, le centrali telefoniche e quelle del telegrafiche. Tra i congiurati ci sono figure affiliate ai movimenti neofascisti e alcuni membri di spicco dell’esercito e della Guardia Forestale. Il comando operativo si trova in un cantiere edile del quartiere di Montesacro ma un altro cospicuo gruppo di uomini è in attesa di ordini nella palestra dell’Associazione Paracadutisti al comando dell’ex tenente Sandro Saccucci. Intorno alle 20 e 30 un commando si introduce nell’armeria del Viminale impossessandosi di armi e mitragliatrici. Nel frattempo il generale dell’Aeronautica Giuseppe Casero e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio hanno preso posizione al Ministero della Difesa e una colonna di automezzi con a bordo circa duecento forestali armati è arrivata a poche centinaia di metri dal centro di produzione Rai di via Teulada. Continua a leggere “Perché fallì il Golpe dell’estrema destra”

Quando Liverpool era il porto degli schiavi

Avvenire, 25 novembre 2022

È stupefacente apprendere fino a che punto la ricchezza dell’Inghilterra georgiana e vittoriana derivasse dal commercio degli schiavi. William Ewart Gladstone, più volte primo ministro britannico nella seconda metà del XIX secolo, fece di tutto per ostacolare la fine della schiavitù nel suo Paese e poi si batté a lungo per garantire un risarcimento ai più ricchi commercianti inglesi di esseri umani. Uno dei principali mercanti di schiavi della Gran Bretagna dell’epoca era suo padre, John Gladstone, un uomo originario di Liverpool che disponeva di immensi possedimenti in Giamaica e nella Guyana britannica e molti anni prima aveva usato la sua enorme fortuna per finanziare l’ascesa politica del figlio. Un giornale locale di quegli anni scrisse che gran parte della sua ricchezza “sgorgava dal sangue degli schiavi neri. Ma non suscitò alcuno scandalo, anche perché molti altri si erano arricchiti allo stesso modo. Quando la legge sull’abolizione della schiavitù venne infine approvata nel 1833, John Gladstone ricevette oltre 93mila sterline come compensazione per la perdita degli oltre 2500 schiavi di sua proprietà. Continua a leggere “Quando Liverpool era il porto degli schiavi”

Ruanda, aperto il processo contro il finanziatore del genocidio

Erano molti, ormai, a temere che questo processo non ci sarebbe mai stato. Invece nelle scorse settimane il Tribunale penale internazionale di Arusha ha aperto finalmente il procedimento a carico di Félicien Kabuga con molteplici accuse risalenti al genocidio del Ruanda. Ormai 86enne, latitante per oltre un quarto di secolo, Kabuga si è rifiutato di comparire in aula ma i giudici hanno ordinato che il procedimento andasse avanti. Negli anni in cui era stata chiamata a seguire il dossier sul genocidio in Ruanda, Carla Del Ponte non ha mai avuto dubbi sul ruolo di primissimo piano svolto da Kabuga. La sua leggendaria latitanza, durata oltre un quarto di secolo, si è conclusa il 16 maggio 2020 in un sobborgo di Parigi dove l’uomo si è infine arreso agli investigatori francesi dopo aver cambiato decine di residenze in tutto il mondo, avvalendosi di un numero imprecisato di identità e di passaporti. Continua a leggere “Ruanda, aperto il processo contro il finanziatore del genocidio”

Sopravvissuti alla follia di Ceausescu

Avvenire, 9 ottobre 2022

“Folle provenienti da tutto il mondo non smettono di stupirsi di quanto sia stato facile abbattere migliaia di case, una ventina di chiese ortodosse, una decina tra scuole e ospedali per mettere al loro posto un palazzo ispirato alla forma della Luna”. Non molto tempo fa – erano gli anni ‘80 – Nicolae Ceausescu fece costruire la cosiddetta Casa del Popolo di Bucarest per celebrare la sua avidità e la sua megalomania. Quello che secondo i deliri di onnipotenza del satrapo rumeno sarebbe dovuto diventare il lussuoso Pantheon del regime comunista è oggi una banale attrazione turistica, il monumento triste e assai kitsch a un trauma collettivo che i rumeni vorrebbero poter dimenticare. Proprio come i faraoni ai tempi delle piramidi, Ceausescu volle vederlo crescere all’inverosimile, fino a farlo diventare il più grande edificio amministrativo del mondo, secondo per dimensioni soltanto al Pentagono. Continua a leggere “Sopravvissuti alla follia di Ceausescu”