
“I nostri carnefici non meritano il perdono, eppure io non sono mai riuscito a odiarli. I miei sentimenti nei confronti di quelli che durante la guerra bruciarono le nostre case e uccisero la nostra gente non sono cambiati. Non li odio. Ma per loro non dev’esserci alcuna pietà altrimenti potrebbero farlo di nuovo”. Trent’anni fa il giornalista e poeta bosniaco Rezak Hukanovic fu costretto a vivere l’inferno sulla Terra. Nel giugno 1992 venne rinchiuso insieme al suo figlio 16enne in uno dei quattro campi di concentramento allestiti dai nazionalisti serbi nei dintorni di Prijedor, la città-simbolo della pulizia etnica nei Balcani. Vi furono deportate migliaia di persone, molte delle quali non avrebbero più fatto ritorno. Hukanovic fu imprigionato per sei mesi nell’ex complesso minerario di Omarska, trasformato in un lager per musulmani e croati. Lì dentro ha visto la crudeltà e l’umiliazione diventare una perversa forma di divertimento e ha sperimentato sulla propria pelle l’inspiegabile sadismo di ex amici, conoscenti e vicini di casa trasfigurati in carnefici.
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