La guerra in Bosnia Erzegovina è iniziata per un “piano di destabilizzazione” ordito dall’Arabia Saudita e da Al Qaeda, in combutta con la Nato, gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Durante la guerra i cittadini di Sarajevo non sono stati bombardati dall’esercito di Mladić, ma si sono bombardati da soli. Srebrenica, infine, non è mai esistita (gli omicidi di massa perpetrati nel luglio del ’95 dall’esercito e dalla polizia serbo-bosniaca sono un’invenzione).
A sostenerlo non è Radovan Karadžić dalla sua cella dell’Aja, ma l’ultimo numero di Latinoamerica, la rivista diretta da Gianni Minà che, oltre alla stravagante ricostruzione del conflitto in Bosnia Erzegovina, presenta un’analisi dell’attuale situazione del Kosovo.
La prospettiva è la stessa. Le maggiori potenze mondiali si sono coalizzate contro i serbi, un popolo che però “ha una grande storia di lotte, conquiste, e anche nelle sconfitte ha sempre continuato a resistere […] e nella sua dignitosa e millenaria storia è sempre riuscito a trovare e produrre forze e grandi uomini che l’hanno guidato e rappresentato degnamente, uomini che hanno dato la vita per il proprio popolo, senza indietreggiare o mettersi in vendita”.
2012, sono passati venti anni. Eppure la lettura razzista delle guerre balcaniche (da una parte i popoli eletti, dall’altra la feccia) continua a riscuotere successo. È quanto sostenevano i teorici della purezza e della pulizia etnica all’inizio della guerra, ognuno ascrivendo al proprio popolo una storia più o meno grande. Qualcuno di loro è finito in carcere, ma quella visione non è mai stata sconfitta. Il problema è che questi articoli non sono solo una deformazione della realtà. Sono un insulto per migliaia di vittime, e per i loro famigliari. È triste che questo insulto venga dall’Italia. Peccato per Latinoamerica, altrimenti un’ottima rivista. Sull’America Latina.
(da Osservatorio Balcani e Caucaso. Vedasi anche, sullo stesso argomento, l’intervento di Azra Nuhefendic)