di Enrico Terrinoni
Corre quest’anno, e precisamente il 26 di agosto, il centenario del più grande sciopero, o meglio, della più grande serrata della storia d’Irlanda, il Dublin Lockout, che paralizzò le strade della capitale irlandese dall’estate del 1913 fino al febbraio del 1914. Mesi di indicibile sofferenza e di morte per la working class.
Una vecchia ballata dublinese recita più o meno così: «Ricchi erano i padroni, a Dublino nel 1913, e i poveri schiavi / Le donne al lavoro, i figli affamati; ma poi venne Larkin… / La voce dei lavoratori, la voce della giustizia… / Li incitò alla rivolta e diede loro coraggio… / Per otto mesi abbiamo lottato e sofferto la fame / Siamo stati al suo fianco, nel bene e nel male, / ma senza nulla da mangiare, e tra il pianto dei bimbi, sono riusciti a spezzarci il cuore: era impossibile vincere». Corre quest’anno, e precisamente il 26 di agosto, il centenario dell’inizio del più grande sciopero, o meglio, della più grande serrata della storia d’Irlanda, il Dublin Lockout, che paralizzò le strade della capitale irlandese dall’agosto 1913 fino agli inizi del febbraio 1914.
Furono mesi di indicibile indigenza, di sofferenza e di morte per tantissimi componenti della working class di Dublino, assiepati in quei tenements o palazzoni ancora visibili nella parte nord del centro città: edifici georgiani un tempo abitati dalla media e alta borghesia, ma trasformati tra fine ottocento e gli inizi del novecento in dormitori urbani, in cui spesso famiglie intere vivevano a caro prezzo condividendo i servizi fatiscenti con le altre decine di inquilini dello stesso edificio.
Nella sorte particolare che hanno vissuto le rivisitazioni storiche in Irlanda, paradossalmente poco spazio è stato concesso a questo passaggio fondamentale, che segnò il futuro del paese. Ciò, forse, per via della prossimità con altri due eventi maggiormente impressi nell’immaginario collettivo: la prima guerra mondiale, che vide tanti irlandesi, mai perdonati, combattere tra le fila dell’esercito britannico, e la rivolta di Pasqua del 1916, a cui hanno partecipato i nazionalisti anti-britannici e i socialisti rivoluzionari. Eppure, l’ideologia che guidò la partecipazione di parti contrastanti del popolo irlandese ad entrambe le disperate imprese non potrebbe essere compresa in tutte le sue pieghe e contraddizioni senza una lettura critica del Lockout, delle sue motivazioni, e del riverberarsi della eco di quei mesi drammatici nell’imminente plasmarsi della nazione. Ripercorriamo, allora, quegli eventi.
Dublino, una delle capitali dell’impero britannico, non godeva di molte delle prerogative di una capitale. Non essendovi un governo nazionale, il capo di stato era il monarca inglese, il quale delegava i poteri ufficialmente al viceré, ma il potere operativo era affidato al Chief Secretary for Ireland, una sorta di ministro plenipotenziario che si occupava degli affari irlandesi nell’ambito delle dinamiche coloniali. Dublino era una città divisa tra una aristocrazia locale chiaramente filobritannica, una giovane borghesia di piccoli, medi e grandi commercianti e imprenditori, adeguatisi nella maggior parte dei casi allo status quo, e dunque integrati nelle dinamiche di scambio con la «madrepatria», ed infine un’ampia classe popolare, fatta di lavoratori sfruttati e di disoccupati, di famiglie numerosissime che vivevano molto al di sotto di quella che oggi chiameremmo la soglia minima di povertà. Continua a leggere “Dublino 1913, il centenario di un’epocale lotta di classe”