di Mario Calabresi
Una ragazzina di 19 anni ha passato notti insonni, poi ha raccolto tutto il coraggio che aveva ed è entrata in un’aula di tribunale di Milano per testimoniare contro il padre, un boss della ’ndrangheta. Lo ha fatto per aiutare l’accusa a sostenere che è stato lui a uccidere e sciogliere nell’acido la mamma, colpevole di aver collaborato con la giustizia. C’erano volute due giornate intere per raccontare le ultime ore di vita della madre e rispondere alle mille domande degli avvocati della difesa. Pensava di aver finito, di aver fatto la sua parte, ma ieri le hanno comunicato che è stato tutto inutile: il processo verrà azzerato e si dovrà ricominciare da capo. Il presidente della Corte, Filippo Grisolia, è stato chiamato a Roma come capo di gabinetto del nuovo ministro della Giustizia e così si tornerà alla casella di partenza. Quando gliel’hanno detto, ieri pomeriggio, Denise non riusciva a crederci. Non riusciva a credere che a guidare il processo non ci fosse più quel presidente che era stato così attento a difenderla dalle domande trabocchetto, dalle mille furbizie degli avvocati, dagli eccessi di sofferenza. Quel magistrato è stato certamente scelto dal nuovo ministro perché è persona seria e scrupolosa, come ha dimostrato nella sua lunga carriera, ma il vuoto e l’angoscia restano senza risposta.
Denise Cosco aveva accettato di testimoniare contro il papà Carlo Cosco e di affrontare la paura – da oltre un anno è entrata in un programma di protezione, ha dovuto cambiare nome e vive nascosta – perché si era convinta ad avere fiducia nello Stato, perché vuole che sua madre abbia giustizia. Ora pensava solo di aspettare la sentenza per poi rifugiarsi nell’anonimato per sempre. Non sarà così: alla notizia del cambio del presidente della Corte, infatti, gli avvocati del padre e degli zii (considerati i complici dell’omicidio) si sono opposti all’idea di tenere valido tutto il lavoro fatto finora, vanificando ogni udienza tenuta. Denise presto dovrà tornare in quell’aula un’altra volta, coprirsi di nuovo la testa con il cappuccio della felpa, per cercare di proteggersi dagli sguardi del padre e degli zii, e ricominciare a raccontare.
Siamo certi su chi ha brindato ieri sera e su chi si è disperato. Ora non ci resta che sperare che il nuovo presidente trovi il modo per salvare la testimonianza di Denise, per non costringerla a rivivere tutto, a ripetere ogni particolare di quell’ultimo istante con la mamma, di quelle ore angosciose passate a cercarla per le strade del centro di Milano. Denise la cercava ma Lea era già morta e in un capannone della Brianza la stavano sciogliendo nell’acido. E non ci resta da sperare che tutto venga fatto con celerità e precisione: i termini di custodia per i presunti assassini scadono all’inizio della prossima estate. Ma questo a Denise non l’hanno detto.
(da “La Stampa” del 24 novembre 2011)