L’arresto di Jovan Divjak è un oltraggio a Sarajevo

Confondere le vittime con i carnefici, equiparare gli oppressori agli oppressi è un vecchio sistema per cercare di cancellare, o quantomeno di attenuare, i crimini di guerra. È quanto sta cercando di fare la Serbia con Jovan Divjak, eroe della resistenza di Sarajevo. L’ex generale dell’esercito bosniaco (anch’egli di etnia serba, dunque doppiamente colpevole, secondo una logica deviata) è stato arrestato nei giorni scorsi dalla polizia austriaca a Vienna mentre si stava recando in Italia per partecipare a un incontro sulla base del mandato di cattura internazionale emesso dalla Serbia per i fatti della Dobrovoljačka ulica. In quella strada di Sarajevo, il 3 maggio del 1992, nel corso di violenti scontri tra una colonna dell’esercito jugoslavo (JNA) che si stava ritirando dalla città e alcuni cittadini e membri del nascente esercito bosniaco, morirono 42 soldati dell’esercito jugoslavo, e diversi altri rimasero feriti per mano bosniaca. Divjak, generale serbo che durante la guerra si è schierato a difesa di Sarajevo insieme a croati e musulmani contro l’esercito di Mladić, è ritenuto responsabile per quei fatti dalla procura di Belgrado, insieme ad altre 17 persone. Uno di loro, l’ex presidente bosniaco Ejup Ganić, è stato arrestato all’aeroporto londinese di Heathrow il primo marzo dello scorso anno per le stesse accuse. I giudici inglesi avevano però in quel caso respinto la richiesta di estradizione della Serbia, liberando Ganić e dichiarando che le accuse contro di lui da parte della Serbia erano “politicamente motivate”. La Procura bosniaca ha ribadito questa tesi, sostenendo che i fatti si svolsero in territorio bosniaco, i sospettati sono cittadini bosniaci e l’unica istituzione deputata a occuparsi di quella vicenda è dunque la Corte della Bosnia Erzegovina.
È dunque evidente che l’arresto di Divjak rappresenta un nuovo tentativo di revisionismo della Serbia nei confronti della guerra in Bosnia Erzegovina. Il tentativo di riequilibrare le colpe del conflitto che ha incendiato i Balcani dal ‘91 al 2001 è cruciale, perché può aprire le porte dell’Unione Europea alla Serbia, che ancora si rifiuta di consegnare criminali di guerra come Ratko Mladic, accusato di genocidio e tuttora protetto dai nazionalisti del paese. Jovan Divjak è una personalità molto conosciuta e stimata a Sarajevo, dove ha fondato un’associazione che aiuta gli orfani di guerra. Al momento dell’arresto, si stava recando in Italia per partecipare a un incontro indetto dall’associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti e dall’associazione Percorsi di Pace. Divjak è molto noto nel nostro paese, anche grazie alla pubblicazione del libro Sarajevo mon amour. La petizione italiana per chiedere il suo rilascio può essere sottoscritta qui.
RM