Sopravvivere all’assedio

Betlemme (Palestina)

Questa terra è della tua famiglia, da quattro generazioni. Lo dimostrano i documenti ufficiali di epoca ottomana, datati 1916. Quarantadue ettari di terreno coltivabile a 900 metri d’altezza, affacciati sulla valle. Ma quasi trent’anni fa il governo israeliano iniziò a far costruire tutto intorno nuove case per i coloni. Quei mostri di cemento spuntavano uno dopo l’altro come funghi velenosi. A est, a sud, a nord. Finché non ti hanno circondato con cinque insediamenti di coloni ebraici. Eravate sotto assedio. Solo il verde dei tuoi alberi d’ulivo riusciva a curare le ferite di quella vista. I tuoi antenati avevano piantato i loro rami nella terra e le loro radici nel cielo. A te e alla tua famiglia sono serviti anni di sudore per coltivarli. Poi un giorno vi hanno detto che dovevate andarvene, perché serviva spazio per costruire altri mostri. Proprio lì, sulla tua terra. Li hai zittiti tirando fuori quegli antichi documenti. Mi chiamo Daoud, in arabo significa Davide, come il secondo re di Israele. Gli hai spiegato che il tuo bisnonno aveva comprato quei terreni ai tempi degli ottomani. La legge ti dava ragione ma intanto in fondo alla valle continuavano a costruire, mentre i soldati e i coloni iniziarono a intimidirvi. Un giorno sono arrivate le ruspe per distruggere i tuoi alberi di ulivo. Sapevano bene che per un palestinese come te quella pianta è un albero sacro, quasi come un figlio, e proprio per quello ne hanno abbattuti più di duecento. Quel giorno ti hanno strappato un pezzo di anima. Mahmoud Darwish diceva che l’ulivo insegna ai soldati a deporre le armi e li rieduca alla tenerezza e all’umiltà. Allora anche un grande poeta può sbagliarsi, hai pensato. Ma sei riuscito a controllare la tua rabbia, a non farla diventare odio, a trasfigurare le forze negative in energia positiva.

A sinistra:: Daoud Nassar

Intanto la solidarietà che continuava ad arrivarvi da tutto il mondo era diventata un fiume in piena. Una marea inarrestabile di giovani volevano partecipare al progetto di nonviolenza attiva e di educazione all’ambiente che avevate chiamato Tenda delle nazioni. Al cuore della vostra scelta nonviolenta c’era una profonda fede cristiana. “Ci rifiutiamo di essere nemici”, hai scritto su quella grossa pietra, davanti all’ingresso della fattoria. Eppure i coloni e l’esercito stavano facendo di tutto per renderti la vita impossibile. Dopo gli ulivi hanno tagliato gli albicocchi, a centinaia, hanno bloccato la principale strada di accesso alle tue terre. E poi le minacce, le intimidazioni, le piccole violenze quotidiane. Quando hanno capito che non cedevi, e che la legge era dalla tua parte, hanno anche provato a comprarti. Dicci quanto vuoi e vattene di qua per sempre. Un sorriso amaro ha solcato le tue labbra mentre gli spiegavi che nessuna cifra potrà mai convincerti a vendere una terra che hai ereditato dai tuoi avi. Hanno cercato di isolarvi in tutti i modi. Ma non ci sono riusciti. Niente è impossibile, dicevi, neanche far crescere una grande fattoria senza acqua, né luce. Ti sei convinto che abbandonarsi al vittimismo non sarebbe servito a niente. Che non avresti mai risposto alle loro provocazioni, perché violenza genera solo altra violenza. Ma di abbandonare tutto e andartene non vuoi neanche sentir parlare. Per procurarti l’elettricità hai realizzato un sistema di pannelli solari che ti consente di avere la luce tutto il giorno. Per rifornirti di acqua hai costruito un meccanismo di raccolta delle acque piovane. Non ti sei fermato neanche di fronte ai divieti di costruire sulla tua terra. Se non posso costruirci sopra vorrà dire che lo farò nel sottosuolo, hai pensato. E con l’aiuto di tanti volontari hai scavato quelle grandi grotte attrezzate con camere, bagni e cucine. Da allora vivete là dentro, proprio come il tuo bisnonno cento anni fa. Avevi deciso di dimostrare a te stesso che tutto è possibile, che anche i grandi problemi possono diventare piccoli ostacoli, quando si imbocca la strada della resistenza nonviolenta, della creatività, della fede. Così avete ripiantato gli alberi e adesso avete raccolti tutti i mesi dell’anno, in un luogo dove cristiani e musulmani lavorano insieme per la pace, per la tolleranza, per l’ambiente. Presto Israele avrà completato il muro dell’apartheid e voi vi ritroverete completamente isolati. Ma il cielo, almeno quello, non potranno mai dividerlo.
RM