La resistenza gentile di Nidal e Hassan

Betlemme/Battir (Palestina) – Ce l’hanno quasi sempre raccontata come una feroce lotta armata, come uno scontro a sfondo religioso dove a prevalere è il fondamentalismo. Invece oggi abbiamo incontrato la resistenza palestinese nello sguardo sincero, nella determinazione e nei modi gentili di un medico e di un ingegnere. Nidal Salameh, il Gino Strada di Betlemme e Hassan Muamer, uno dei leader della cosiddetta “Intifada verde”. Negli anni ’80 Nidal ha studiato medicina in Italia tra mille difficoltà. Ha dovuto sfidare il divieto delle autorità israeliane che volevano impedirgli di rientrare nel suo paese e ha pagato la sua disobbedienza con un anno e mezzo di carcere duro. Quasi vent’anni fa ha fondato il Centro medico Al Saqada, nel cuore di Betlemme, dove insieme a un gruppo di medici e infermieri si prende cura gratuitamente delle famiglie più povere della città e del distretto. Il governo di Israele continua a ostacolarlo in tutti i modi, persino inviando i soldati a compiere violente perquisizioni nei corridoi del suo ambulatorio, che pullulano di mamme con i bambini, e di malati di tutte le età. Per molti palestinesi della zona il Centro medico di Nidal rappresenta l’unica opportunità di ricevere cure mediche aggirando l’occupazione militare israeliana, che li costringe a estenuanti viaggi, controlli e attese ai check-point.

Nidal Salameh

Al terzo piano della palazzina del centro stanno finalmente ultimando i lavori del nuovo Day Hospital, e Nidal ci mostra con orgoglio il suo nipotino di pochi mesi. “Se volessi potrei emigrare negli Stati Uniti e andare a lavorare lì”, ci confessa. “Ma la nostra libertà è in Palestina e io voglio aiutare il mio popolo a resistere qua, sulle nostre terre”. A pochi chilometri da Betlemme, in una delle tante aree della Cisgiordania controllate illegalmente da Israele, sorge Battir, un villaggio di circa quattromila abitanti che nel 2014 è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Un giovane sorridente serve ai tavoli gustosi piatti di verdure del luogo. Si chiama Hassan Muamer, è un ingegnere ambientale e ci ha accolto nel ristorante della sua famiglia. Qualche anno fa, insieme a un gruppo di professionisti e ambientalisti, ha sfidato la burocrazia del colonialismo sionista. E ha vinto. Il Muro di separazione che Israele voleva costruire qua, tagliando in due una valle dalla bellezza poetica, non si sarebbe limitato a privare i contadini dalle loro terre ma avrebbe anche distrutto i resti millenari dell’antica Battir, a cominciare dai terrazzamenti agricoli e dai canali di irrigazione di epoca romana tuttora funzionanti.

Hassan Muamer

Per evitare un simile scempio, Hassan e i suoi colleghi hanno avviato una battaglia legale che ha infine costretto la Corte Suprema israeliana a ritirare l’ordine di requisizione delle terre e a bloccare – almeno per ora – un progetto che avrebbe cancellato per sempre un patrimonio storico e architettonico di valore inestimabile. “Battir è stato il primo villaggio palestinese che con le armi della legge è riuscito a impedire la costruzione del Muro israeliano”, conclude Hassan. “Pensiamo di poterci definire un modello di speranza”.
RM