(di Marina Corradi)
Maria aveva 14 anni, faceva il primo anno di liceo classico e lunedì era uscita un’ora prima da scuola perché mancava un insegnante. Così è andata a trovare il padre, al maglificio di via Mura Spirito Santo, a Barletta. È rimasta sotto le macerie. Assieme a quattro operaie, in uno scantinato dove in quanti esattamente lavorassero non si sa; e dove le crepe aperte nei muri non erano bastate a far dichiarare l’edificio inagibile.
Ma questa tragedia del Sud, dal sapore così amaro e così antico, come la somma ineluttabile di endemici mali, ieri sulle prime pagine era eclissata dai titoli cubitali su Amanda Knox, assolta dall’accusa di omicidio dell’amica Meredith Kerch. Dopo un processo tanto seguito dai media, da essere diventato simile a una fiction; con la protagonista così bella e fotogenica da indurre a un inconscio equivoco – come se il delitto di Perugia, fosse solo un film.
Già, i giornali, alzerà la spalle qualcuno. Sì, i giornali, certo. Ma i giornali, oggi più scientificamente che mai, danno spazio a ciò che presumono che i lettori desiderino e che i lettori s’abituano a considerare il pane quotidiano dell’informazione. Dunque, è vero che il circo mediatico a volte va fuori controllo, ma è anche vero che lo fa per soddisfare la domanda (vera e indotta) del “mercato”. Allora ci si può domandare che Paese è, quello in cui una sciagura che mescola irregolarità edilizie, inadempienze di controlli e lavoro in nero, e fa cinque morti, interessa tanto di meno del destino di una bella ragazza e del suo amico, in primo grado condannati per un omicidio terribile, e a torto o a ragione diventati quasi dei foschi eroi, nella penombra di incertezza che tuttora avvolge ciò che veramente avvenne quella notte, a Perugia. Se si misurasse aritmeticamente lo spazio occupato dai titoli su Amanda e su Barletta, ieri, si vedrebbe che la prima vince quattro a uno; e anche di più, se persino il più grande e il più rigoroso dei giornali “di sinistra” ieri per Maria e le altre non hanno trovato uno spicchio in prima pagina.
Del resto, anche le dieci pagine di sbobinatura di intercettazioni su escort e festini che ultimamente occupavano quotidianamente molti quotidiani, davvero, nella dovizia di particolari, rispondevano solo a un dovere di cronaca? Oppure soddisfare tutte le curiosità dei lettori rende – o da questa illusione – in termini di tiratura? Ma di nuovo, parlando di sistema mediatico, finiamo col parlare anche di chi giustifica e alimenta certe logiche. Perché ad Amanda i titoli di apertura e per quattro donne morte lavorando e per la giovanissima Maria un titoletto basso o anche niente? Forse perché l’omicidio di Perugia, già assurdo e strabiliante nei suoi dati, tanto è stato sezionato e romanzato da diventare agli occhi di chi legge un feuilletton nero, più estremo di ogni immaginazione, e dunque in fondo percepito come irreale. Come Avetrana, con quel Michele Misseri che ora in tv chiamano amabilmente “zio”, come uno di casa; come se anche Sarah Scazzi fosse fiction, e non fosse morta per davvero.
L’audience premia, dicono, le storie utili a portarci altrove, lontano da noi – almeno per un po’. Mentre quel crollo di Barletta, dove donne “oscure” lavoravano disagiatamente in uno scantinato, per quattro soldi e senza garanzie, mentre la casa si crepava e i controlli tardavano, ecco, questa storia non va assolutamente bene per distrarsi, per evadere, per non pensare. E dunque niente o titolo basso, “di piede”, come si dice in gergo giornalistico.
Non è che vogliamo fare moralismi. È che ci preoccupa, e quasi ci spaventa, un Paese in cui un delitto con una bella imputata diventa fiction e titolo cubitale, e un’amara sciagura di case mal costruite e burocrazia polverosa e cinque morti non interessa, o interessa molto meno. Ci preoccupa, come preoccuperebbe un amico che si isolasse davanti alla tv, ignorando che in casa il lavoro manca, l’affitto è in arretrato e i figli fanno tutte le notti le tre. E la realtà? E la volontà, e la fatica per cambiarla? A volte, sgradevole e insistente, ci afferra il pensiero che quella crisi morale che sempre addebitiamo solo alla politica, alla finanza, alle varie “gerarchie”, in realtà tocchi anche, nel profondo, noi.
(da “Avvenire”, 5 ottobre 2011)