Viaggio nel campo d’internamento voluto dalla Repubblica di Salò nella provincia di Grosseto, e ospitato nei locali di un seminario vescovile.
Roccatederighi è un piccolo paese a 500 metri d’altezza a una trentina di chilometri da Grosseto, con un bel borgo medievale e una macchia terribile nella sua storia recente. È qui che alla fine del 1943 il prefetto dell’epoca Alceo Ercolani, fascista convinto e solerte collaborazionista degli invasori nazisti, si mise alla ricerca di una sede adatta per rinchiudere i circa centocinquanta ebrei censiti tra Grosseto, Pitigliano e altre località della Maremma. La sua non fu una ricerca lunga, né difficile, perché la Curia grossetana guidata dal vescovo Paolo Galeazzi corse presto in suo aiuto proponendogli di affittare un’ala dei locali del Seminario estivo vescovile, una bella struttura situata nel cuore del bosco, a circa un chilometro dal paese. Dal dicembre del 1943 le stanze del Seminario vescovile cominciarono a essere adibite a campo di internamento e quindi a riempirsi di persone arrestate, italiane e straniere, oltre ad ebrei stranieri già custoditi in carceri della provincia. La vicenda è stata scoperta non molto più di un decennio fa in seguito alle ricerche della direttrice dell’Istituto storico della Resistenza di Grosseto, la professoressa Luciana Rocchi. È saltata fuori una copia del contratto di affitto firmato dal vescovo e dal maresciallo di Pubblica sicurezza Gaetano Rizziello, che fu designato a dirigere il campo d’internamento.
Il contratto dice che “dietro invito motivato dalle emergenze di guerra” e “in prova di speciale omaggio presso il nuovo Governo” (quello di Salò), la Curia cede in affitto il Seminario Estivo presso Roccatederighi per farvi la sede del “Campo di Concentramento Ebraico” a un canone di locazione mensile di 5000 lire, una cifra ragguardevole per l’epoca, e includeva l’opera di cinque suore per “la cucina, dispensa, guardaroba, infermeria, nonché per l’ordine nelle camerate delle donne”. Si sarebbe scoperto in seguito che lo stesso Monsignor Galeazzi visse per mesi accanto agli internati perché, a causa dei bombardamenti, la sede vescovile era stata trasferita nel seminario di Roccatederighi.
Questo lager toscano, maremmano, era recintato col filo spinato e posto sotto la sorveglianza di alcune decine di soldati della Repubblica di Salò. Vi furono internate in totale 80 persone (41 italiani e 39 stranieri). Fra l’aprile e il giugno del 1944 oltre la metà di questi furono trasferiti in campi più a Nord. Ad Auschwitz finirono 33 di loro, soltanto quattro dei quali sopravvissero. Dopo la fine della guerra, il prefetto Ercolani fu processato per le stragi ordinate nella zona e condannato a trent’anni di carcere. Fu rilasciato nel 1953, dopo averne scontati appena sette. Il vescovo rimase invece al suo posto fino al 1960 senza subire alcuna sanzione, neanche da parte del Vaticano. Al contrario, come un buon esattore presentò formale richiesta di risarcimento al governo italiano per l’affitto e gli stipendi che i repubblichini non avevano pagato.
Da tempo volevo visitare quello che resta del campo di internamento di Roccatederighi e oggi ci sono finalmente riuscito. Una memoria fredda e sbiadita avvolge quel che resta di questo luogo, che è privo di qualunque rimando a quei fatti tremendi accaduti appena settant’anni fa. Meno male che in occasione del Giorno della Memoria del 2008 – meglio tardi che mai -, una lapide per commemorare gli ebrei che da lì partirono per la Germania è stata collocata fuori dal complesso, che da anni si trova in ristrutturazione per farne un ricovero per malati di Alzheimer. La struttura è chiusa e abbandonata. I lavori, come testimoniano le erbacce e la desolante incuria, sono fermi da tempo, e tutto fa pensare che lo resteranno ancora a lungo.
RM