Ciudad Juarez: due sentenze storiche condannano il Messico

Con una storica e attesa sentenza, l’11 dicembre scorso, la Corte Interamericana dei Diritti Umani, composta da sei magistrati e inserita nel sistema dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), ha condannato lo Stato messicano per avere violato il diritto alla vita, all’integrità fisica e alla libertà personale dato che non ha indagato adeguatamente e ha discriminato i diritti di tre vittime d’omicidio, Esmeralda Herrera, 15 anni all’epoca dell’assassinio, Claudia Gonzalez, di 20, e Berenice Ramos di 17, e dei loro familiari. Seguendo questa linea la Corte ha emesso il 16 dicembre un’altra sentenza emblematica relativa ai crimini statali commessi durante la guerra sucia degli anni settanta contro la popolazione civile di molte zone del paese. La prima sentenza si riferisce ai casi citati di “femminicidio” che risalgono al novembre del 2001 quando insieme alle tre vittime furono ritrovati altri cinque corpi nel terreno conosciuto come “campo algodonero” (campo di cotone). Si tratta di una tipologia di violenza molto comune nel nord del Messico e lungo la frontiera con gli USA per cui vengono violentate, sequestrate e uccise prevalentemente donne giovani in età lavorativa o anche adolescenti. A Ciudad Juarez, definita la città più violenta del mondo, sono oltre seicento le donne uccise dalla metà degli anni ’90 ad oggi e l’impunità regna sovrana in quasi tutti questi casi.
L’atteggiamento lassista nei confronti dei crimini contro le donne (ricordiamo che fino a qualche anno fa, e probabilmente ancora oggi, l’uomo accusato di stupro godeva di generose attenuanti se la vittima portava i jeans o se camminava da sola per la strada con atteggiamento equivoco o in minigonna, eccetera) e la connivenza delle autorità con il narcotraffico costituiscono forse i fattori principali che alimentano la spirale di violenza in certe zone calde del Messico. Infatti i problemi della più lunga frontiera del mondo tra un paese in via di sviluppo con 110 milioni di abitanti e circa 60 milioni di poveri, il Messico, e il mercato più ricco e grande del mondo rappresentato dagli Stati Uniti si fondono in queste zone con quelli causati dalla delinquenza organizzata che traffica droga, persone e merci contraffatte ed è in guerra con uno Stato messicano debole e corrotto che per combattere ha deciso di impiegare massicciamente l’esercito e la polizia, la retorica e la paura, anziché puntare su strumenti più lungimiranti come lo sviluppo economico e del lavoro, i programmi sociali, il rispetto delle garanzie e lo stato di diritto, la cultura della legalità e le politiche di contenimento o di liberalizzazione della domanda e dell’offerta nazionale ed estera di stupefacenti.
Nel caso del “campo algodonero” sono state riscontrate gravi irregolarità nelle fasi preliminari delle indagini così come nelle successive per cui lo Stato messicano e il potere giudiziario devono farsi responsabili dell’impunità di cui godono i colpevoli e vengono condannati a continuare con le ricerche e risarcire i parenti delle vittime economicamente con ingenti somme di denaro e moralmente con cerimonie pubbliche e la costruzione di monumenti per le vittime. La sentenza risulta importante chiaramente non solo per il caso specifico quanto perché stabilisce un precedente autorevole ed evidenzia le colpe dello Stato e indirettamente del sistema politico a vari livelli per quanto riguarda il perpetuarsi dei crimini e della violenza contro centinaia di donne. Già nel 2003 si parlava infatti di oltre 300 assassinii comprovati e 500 sparizioni per motivi di genere dato che interessavano donne: le cifre sono praticamente raddoppiate in questi ultimi anni. Le ipotesi avanzate dalla stampa nei primi anni circa la presenza di un “mostro di Juarez” o di un serial killer non hanno retto nonostante gli sforzi dei media e del governo di far passare questa strage silenziosa come un fatto di cronaca che sarebbe durato poco. Spesso le vittime della delinquenza si ritrovano quasi sotto accusa o si sentono rispondere con estrema e crudele sufficienza dato che le autorità statali propiziano la criminalizzazione della denuncia e del dissenso civile attraverso un mix esplosivo di inazione, corruzione e indifferenza che porta intere famiglie alla disperazione o, nel migliore dei casi, a saltare le istituzioni locali o nazionali per rivolgersi a istanze superiori. Le omissioni e l’omertà delle autorità vengono quindi oggi sanzionate internazionalmente mentre lo stesso governo nazionale non ha saputo giudicarsi o riformarsi adeguatamente. La cultura retrograda e maschilista di alcune zone del paese, la violenza diffusa in certi contesti sociali e regionali, la presenza dei cartelli del narcotraffico e delle tensioni tipiche del confine con gli USA, la connivenza delle autorità politiche con gli stessi cartelli e con le bande di delinquenti che lo tengono come alleato in scacco, la corruzione delle forze dell’ordine e le crescenti possibilità di lavoro e autosufficienza delle donne impiegate nella fabbriche maquiladoras che ne fanno delle “ragazze emancipate” sono alcuni elementi che chiariscono il fosco e adulterato panorama dipinto in questi anni dalla propaganda ufficiale.

(fonte: Carmilla online)

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