Giustizia per gli Einstein

di Riccardo Michelucci
da “Diario”, anno X, n. 28, 15 luglio 2005

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San Donato in Collina (Firenze), luglio 2005
“Abbiamo giustiziato i componenti della famiglia Einstein rei di tradimento e giudei”. La mattina del 4 agosto 1944, tra le fiamme di Villa Il Focardo, un foglio scritto in tedesco e attaccato a un albero spiegava la folle logica che stava dietro a uno dei tanti eccidi compiuti dai nazi-fascisti in provincia di Firenze. Oltre sei decenni dopo sembra arrivato il momento di smentire la tragica spiegazione di quel foglio e individuare finalmente i colpevoli della strage. Robert Einstein, cugino di primo grado del grande scienziato, aveva trascorso con la sua famiglia gli ultimi anni della guerra nella bella villa immersa nel verde in località Le Corti, nei pressi di Rignano sull’Arno. Dopo l’armistizio italiano dell’8 settembre 1943 una divisione della Wermacht aveva occupato la villa per farne il proprio quartier generale costringendo la famiglia a restringersi nella vicina fattoria. Sebbene Robert Einstein fosse ebreo, per mesi la sua famiglia non venne molestata dagli ufficiali dell’esercito regolare tedesco. Il drammatico equilibrio, fatto di diffidenza e rispetto, speranza e paura, che si creò tra la famiglia e gli occupanti è stato ricostruito splendidamente da Lorenza Mazzetti, una delle nipoti degli Einstein scampata alla strage. “Il cielo cade”, vincitore del premio Viareggio nel 1961, racconta mesi di convivenza con i nazisti visti con gli occhi di una bambina. Fino al tragico e apparentemente inaspettato epilogo. Nell’estate del 1944, con l’avanzare delle truppe alleate nel Valdarno e i nazisti che si preparavano agli ultimi scontri prima della ritirata, donne, vecchi e bambini del paese si rifugiarono nei boschi intorno alla villa per scampare alle rappresaglie naziste. Ricercato da gruppi di SS, anche Einstein decise di nascondersi mentre la moglie e le due figlie, non essendo ebree, restarono alla villa ignorando i consigli dei comandanti partigiani che le avevano messe in guardia circa la pericolosità di tale scelta. Verso le dieci di sera del 3 agosto 1944 le raffiche dei mitra tedeschi trucidarono Cesarina Mazzetti, 56 anni, moglie di Robert Einstein, e le due figlie Annamaria, di 18 anni, e Luce, di 27. Poi i nazisti dettero fuoco alla villa e scapparono. La mattina del 4 agosto, neppure otto ore dopo la strage, un gruppo di alleati giunse al Focardo. Un giovane in abiti borghesi scese da una delle camionette e chiese degli Einstein. Quando il fattore lo accompagnò tra le macerie e gli mostrò le salme delle tre donne il giovane non riuscì a trattenere le lacrime. Era il maggiore della Quinta Armata Milton Wexler, un fisico americano allievo di Albert Einstein, e si trovava in Italia da tre mesi al seguito delle truppe alleate nella speranza di poter ritrovare vive le persone care del suo maestro. Robert Einstein era riuscito a scampare alla furia nazista nascondendosi nel bosco, ma il 13 luglio dell’anno dopo, nel giorno dell’anniversario del suo matrimonio, sopraffatto dal dolore e deluso perché i responsabili del massacro non erano stati trovati, si suicidò nelle stesse stanze della villa dov’era avvenuta la strage.

La verità, con 61 anni di ritardo
Le testimonianze raccolte in tutti questi anni e l’inchiesta svolta dalla commissione statunitense per i crimini di guerra subito dopo i fatti avevano avvalorato la tesi dell’accanimento razziale nei confronti di Einstein, peraltro aggravata dall’avversione di Hitler nei confronti del grande scienziato tedesco emigrato in America e diventato un simbolo dell’opposizione al nazismo. Anche l’efferatezza delle circostanze dell’eccidio aveva sempre fatto pensare a una premeditazione. Eppure a volte anche casi considerati chiusi da tempo possono essere riaperti grazie al lavoro caparbio degli storici. Se le reali implicazioni della strage del Focardo – e soprattutto i nomi dei responsabili – verranno fuori oltre sessant’anni dopo il merito sarà di Carlo Gentile, esperto della storia dell’occupazione tedesca e della repressione antipartigiana in Italia durante le seconda guerra mondiale. Dal 1997 Gentile è consulente delle autorità giudiziarie italiane e tedesche in alcuni tra i maggiori procedimenti penali per crimini di guerra nazifascisti, quali ad esempio le stragi di S. Anna di Stazzema, di Marzabotto e di Cefalonia. Le sue ultime ricerche sul Focardo, svolte in Germania e negli Stati Uniti, hanno già fatto emergere elementi nuovi sufficienti a far riaprire il caso presso l’ufficio centrale per le indagini sui crimini del nazionalsocialismo di Ludswigburg, in Germania. In base ai risultati dei suoi studi Gentile è in grado di capovolgere quanto si era creduto fino ad oggi circa le responsabilità della strage. “Posso affermare con certezza che a uccidere non furono reparti delle SS, ma uomini appartenenti al comando di un’unità della Wermacht, l’esercito regolare tedesco, verosimilmente la quindicesima divisione del 104° Reggimento di granatieri corazzati (Panzergrenadierregiment 104), provvisoriamente dislocato nei pressi della villa nei giorni della strage”. Lo stesso reggimento è già stato indicato come il responsabile dell’eccidio di Bellona, in provincia di Caserta, dove vennero massacrati per rappresaglia cinquantaquattro civili, e di altri episodi di grande violenza contro i civili nel sud della Toscana.
Gentile afferma di poter escludere che l’omicidio delle tre donne abbia a che vedere con una vendetta personale nei confronti di Albert Einstein o sia stato un delitto a sfondo razzistico. “In quei mesi nella zona del fronte si sono verificati una serie di atti di violenza spesso gratuiti, che comprendono omicidi, stupri, saccheggi, furti aggravati e percosse. Episodi in larga parte ignoti perché poche sono le tracce rimaste nella documentazione, ma che al contrario rappresentano un aspetto molto importante della violenza di guerra. È molto probabile – spiega – che anche la strage del Focardo sia stato un atto di violenza gratuita da parte dell’ultimo battaglione tedesco che arrivò nella zona”. All’epoca della strage il fronte era distante appena quattro o cinque chilometri e i tedeschi hanno sempre sostenuto che gli abitanti collaborassero con i partigiani e con gli alleati. Secondo lo storico italiano che da anni vive e lavora in Germania a questo punto sarebbe già possibile individuare i presunti responsabili della strage. “Ho i nomi di alcuni ufficiali tedeschi ancora in vita che si presume siano stati presenti sui luoghi della tragedia. Mancano però ancora concreti elementi di prova a loro carico. Reperirli è un compito che spetta all’autorità giudiziaria. Io ovviamente sono a disposizione dell’autorità giudiziaria”. Il livello di conoscenza raggiunto da Gentile richiede adesso un passaggio di consegne del lavoro dallo storico al magistrato: “non resta che andare a cercare gli ufficiali e i soldati di quei reparti e sentire cosa hanno da dire a riguardo, ma ovviamente non è un lavoro che compete a uno studioso”.

Riaprire le indagini anche in Italia
Nell’agosto 1944 i nazisti in ritirata dalla zona si asserragliarono per una decina di giorni presso il monastero dell’Incontro a Villamagna, nei pressi di Bagno a Ripoli, per cercare di rallentare la marcia degli alleati verso Pontassieve. Il priore dell’Incontro raccontò che buona parte delle truppe naziste responsabili della strage del Focardo caddero prigioniere proprio al monastero e anche i documenti confermano che si trattava di uomini appartenenti allo stesso battaglione che all’inizio di agosto stazionava nei pressi della villa degli Einstein. Subito dopo la strage gli Stati Uniti avviarono un’inchiesta cercando di raccogliere testimonianze tra la gente del posto ma trovarono ben pochi testimoni. Tre delle persone che più di altre sarebbero state in grado di fornire informazioni erano state uccise e molti sopravvissuti erano troppo giovani per ricordare particolari rilevanti. Lo stesso Robert Einstein, avendo lasciato la villa prima dell’eccidio, non aveva visto gli ultimi soldati tedeschi giunti al Focardo, quelli che commisero la strage. Dopo la rapida inchiesta degli alleati la vicenda è stata inghiottita dall’oblio per lunghi decenni. Fino alle accurate ricerche di Gentile, in base alle quali alcuni mesi fa l’ufficio centrale per le indagini sui crimini del nazionalsocialismo di Ludwigsburg, l’ente della magistratura tedesca preposto all’apertura delle indagini preliminari per i crimini di guerra, ha aperto un procedimento penale a carico di alcuni ufficiali e sottufficiali del 104° reggimento Panzergrenadier della Wermacht. Gentile non esclude che vi possano essere anche elementi ulteriori all’interno del cosiddetto “armadio della vergogna” o presso la procura militare di La Spezia. Ma potrebbe trattarsi anche della stessa documentazione già in suo possesso: “spesso inglesi e americani passavano le loro inchieste agli italiani che poi sono purtroppo finite nel dimenticatoio come sappiamo, fino alla scoperta del famoso armadio, solo alcuni anni fa”. Di sicuro a questo punto sarebbe importantissimo arrivare all’apertura di un procedimento simile anche in Italia. La competenza, anche in questo caso, spetta alla procura militare di La Spezia, la stessa del processo per S. Anna di Stazzema. L’onorevole Valdo Spini, presidente della Fondazione Rosselli di Firenze, ha già sottoposto i risultati delle ricerche di Gentile al presidente della Commissione per le stragi nazifasciste: “è tempo – spiega – che anche in Italia venga riaperta l’inchiesta”.
Riccardo Michelucci

Questo articolo, uscito su “Diario” del 15 luglio 2005, è stato selezionato tra i finalisti del Premio Gabriele Capelli 2005

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