Avvenire, 13.9.2017
Fu l’intenso lavoro diplomatico svolto dalla Santa Sede a consentire il salvataggio dei capolavori dell’arte toscana trafugati dai nazisti negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale. Un vero e proprio canale parallelo a quello attivato dagli Alleati, che culminò in una lettera datata 15 novembre 1944, nella quale il segretario di Stato Vaticano Giovanni Battista Montini informò il cardinale di Firenze Elia Dalla Costa che il San Giorgio di Donatello, il Bacco di Michelangelo e decine di altre opere d’arte rubate dai nazisti in Toscana erano state finalmente individuate in un rifugio segreto in Alto Adige. “Le competenti autorità germaniche – scrive il futuro papa Paolo VI al cardinale – hanno inviato l’elenco degli oggetti contenuti nelle 58 casse, che sono adesso conservate nel castello di Neumelans, a Campo Tures”. Due mesi prima era stato lo stesso Dalla Costa a scrivere a Montini per informarlo che le truppe tedesche in ritirata avevano razziato la villa medicea di Poggio a Caiano, alle porte di Firenze, dove la Soprintendenza aveva nascosto quei capolavori per proteggerli dai bombardamenti. Questa corrispondenza, rinvenuta nel fondo Dalla Costa dell’Archivio storico diocesano fiorentino dalla studiosa Alessia Cecconi, conferma il ruolo decisivo svolto in quei mesi da Montini e dal cardinale di Firenze, che consentì infine il recupero di quei tesori con l’intervento della task force statunitense incaricata della protezione delle opere d’arte. “Durante la guerra – spiega Cecconi – Dalla Costa fu continuamente in contatto con il soprintendente fiorentino Giovanni Poggi e lavorò senza sosta per scoprire dove si trovassero le opere trafugate e nell’autunno 1944. Grazie alle indagini svolte attraverso i canali del Vaticano, che coinvolsero anche il cardinale di Bologna e il nunzio apostolico a Belluno, iniziarono a trapelare le prime informazioni sulla presenza di quei depositi in Alto Adige, che sarebbero stati infine individuati alcuni mesi più tardi, nel maggio 1945”. Si trovavano nei pressi di Bolzano, a San Leonardo in Passiria e a Campo Tures, nel castello di Neumelans. Oltre ai capolavori di Donatello e Michelangelo (trafugati dal museo del Bargello di Firenze), c’eano anche i più importanti bassorilievi monumentali di Pistoia, vere e proprie opere-simbolo della città: la lunetta del portale maggiore del Duomo con l’archinvolto e la volta di Andrea della Robbia, lo stemma civico cittadino della Scuola del Verrocchio e la lunetta con l’incoronazione della Vergine dell’Ospedale del Ceppo. Il racconto per immagini di quello straordinario ritrovamento è stato ricostruito – nell’ambito del programma di iniziative per Pistoia capitale della cultura 2017 – attraverso le sessanta foto inedite e i venti pannelli documentari della mostra Tesori in guerra. L’arte di Pistoia tra salvezza e distruzioni, realizzata dal locale Istituto storico della Resistenza insieme alla Fondazione CDSE nel Chiostro di San Lorenzo della città toscana (dall’8 al 20 settembre, con orario 15-18). La documentazione fotografica proviene dai fondi del Gabinetto fotografico della Galleria degli Uffizi e della Soprintendenza di Firenze, Pistoia e Prato. Le immagini, mai viste prima d’ora, raccontano anche l’emblematica vicenda di un altro capolavoro dell’arte sacra di Pistoia, la Visitazione di Luca della Robbia, particolarmente amata dai pistoiesi per motivi devozionali. L’opera, collocata nella chiesa di San Giovanni Fuorcivitas, si salvò grazie all’involucro di mattoni col quale era stata messa in sicurezza pochi giorni prima del terribile bombardamento del 24 ottobre 1943, che danneggiò pesantemente la chiesa. Soltanto in seguito lo straordinario gruppo robbiano fu smontato e trasportato a Firenze, nella Galleria dell’Accademia, dove rimase fino alla fine della guerra, accanto al monumentale David di Michelangelo. Considerata un obiettivo strategico a causa della presenza delle officine belliche San Giorgio e di tre grandi caserme tedesche, Pistoia subì massicci bombardamenti tra l’autunno 1943 e il gennaio 1944. Le bombe provocarono centinaia di morti e distruzioni gravissime, con dodici chiese rase al suolo e altre cinquanta gravemente danneggiate.
RM