Hanno causato la morte di decine di migliaia di persone nella più devastante catastrofe industriale di tutti i tempi, ma rischiano una pena massima di appena due anni di carcere. Un quarto di secolo dopo il disastro di Bhopal, un tribunale indiano ha giudicato colpevoli di “negligenza” otto fra dipendenti ed ex dipendenti della compagnia americana Union Carbide. Fra le persone condannate in contumacia dal tribunale indiano c’è anche Warren Anderson, l’ex presidente della società che produceva il pesticida – l’isocianato di metile – che avvelenò migliaia di persone. Anderson, 81 anni, è considerato il responsabile principale del disastro, ma essendo in stato di latitanza non ha potuto essere processato. Nella notte fra il 2 e il 3 dicembre 1984, una nube altamente tossica fuoriuscì dalla Union Carbide di Bhopal, filiale indiana di uno dei giganti americani della chimica: i morti furono migliaia, tra 8.000 e 10.000 secondo il Centro di ricerca medica indiana, oltre 25.000 secondo Amnesty International. Ad oggi si calcola che le vittime siano 20.000 e che 500.000 persone abbiano subito patologie di differente gravità per le conseguenze dell’inquinamento di terra, aria e acqua. Dopo 25 anni, l’impianto giace abbandonato e dietro i suoi pesanti portoni d’acciaio c’è quello che gli ambientalisti definiscono “un disastro nel disastro”, un luogo ormai altamente inquinato che, secondo nuovi studi, sta lentamente avvelenando l’acqua potabile per migliaia di indiani.