(di Ennio Remondino)
La memoria personale contro la strategia del silenzio. La memoria per ciò che è accaduto 10 anni fa e su cosa hanno significato i bombardamenti Nato sulla Jugoslavia. La strategia della dimenticanza, dopo l’esplodere delle bombe, risponde con un assordante silenzio. L’obbligo storico della memoria imporrebbe, infatti, anche l’obbligo della riflessione e, probabilmente, della vergogna. La strategia del silenzio è quindi la malizia conclusiva della più recente formula di guerra, quella della “Ingerenza umanitaria”, autentica svolta nell’ordine mondiale.
La legalità internazionale delle Nazioni Unite, per la prima volta dal 1945, messa ai margini dai vincitori della Seconda guerra mondiale (tranne la Russia). Oggi non c’è più regola. Resta soltanto la Nato, il cui intervento nell’ex Jugoslavia è stato fondamentale per reinventare un suo ruolo dopo la fine della guerra fredda. La “guerra umanitaria” che ha il brevetto sul nome è comunque la nostra, 24 marzo 1999, ore 20 e qualche minuto con la prima esplosione su Belgrado. Qualche successivo tentativo di motivare altre azioni militari col nome di “guerra umanitaria”, dopo i risultati balcanici, è stato bocciata dagli addetti al marketing e alla Idealpolitik delle guerre per riguardo al buon gusto. Le guerre umanitarie hanno caratteristiche che le distinguono da tutte quelle del passato. Pochi sanno che l’Onu ha catalogato ben 20 tipi di guerra, compresa una ormai dimenticata “guerra del pallone” tra Honduras ed El Salvador, 1969, dopo una partita tra le due nazionali di calcio e 5 mila morti successivi. Nella guerra umanitaria si sa subito chi è destinato a vincere. In genere sono guerre veloci nella parte militare e lunghissime nella pace da costruire dopo. Per la “nostra” guerra hanno sbagliato anche le previsioni di durata: “Qualche giorno di bombe, una settimana al massimo ed è finita”. I teologi della guerra umanitaria usano sempre ordigni “intelligenti”, che ammazzano un sacco di civili, ma risparmiano i soldati di chi la decide. Per perfezionare il meccanismo delle guerre umanitarie, resta il problema futuro di concordare sui buoni da soccorrere e sui cattivi da punire. Attorno a questo problema prima o poi scoppierà una guerra per decidere chi ha ragione.
La vera sfortuna dei narratori “reduci” di quella guerra da archiviare al più presto è che il “Cattivo” era certo. Nessuno a rimpiangere o a difendere lo scomparso Slobodan Milosevic, ma sulle ragioni e sulle conseguenze di quei tre mesi di bombardamenti tanto invece ci sarebbe da dire e tanti “Buoni” ufficiali da sputtanare. Il problema è che nessuno vuol sentire. Un anno fa avevo proposto un libro a quattro mani, pensato assieme ad un intelligente ex generale Nato, e dagli editori ho ricevuto pernacchie. Ho lanciato l’allarme televisivo per il decennale ed attendo ancora risposta sul minuto e 15 “massimo” che andrà in onda. L’EBU, l’organismo televisivo europeo che garantisce i punti di trasmissione necessari per l’evento non ha ancora deciso se evento sarà. La ragazza alla reception del residence dove alloggio qui a Belgrado, quando ho fatto riferimento al giorno 24, mi ha guardato interrogativa come fossi un matto.
(da “Il Manifesto”)