Gianni Sartori

Questione di pochi minuti e Leonard sarebbe rimasto a crepare in carcere. Poco prima dell’investitura di Donald Trump, Joe Biden ha compiuto una scelta se non esemplare per lo meno dignitosa. Commutando la pena all’ergastolo per l’ottantenne ex dirigente dell’AIM (American Indian Movement) e consentendogli gli arresti domiciliari.
Afflitto da seri problemi di salute, per quanto non graziato, dopo 49 anni di carcere almeno potrà trascorrere il tempo che gli resta fuori dalle mura del carcere.
Da Trump non avrebbe potuto aspettarsi nemmeno questo gesto minimo di compassione (se non di giustizia).
Tra i principali esponenti del lungo assedio di Wounded Knee da parte dei nativi (1973), era stato accusato di aver preso parte all’uccisione di due agenti del FBI nella riserva di Pine Ridge nel 1975. Era il 27 febbraio del 1973 quando circa 200 militanti armati dell’AIM occupavano l’insediamento di Wounded Knee (luogo di un efferato massacro contro i Lakota Minneconjou nel 1890). Prendendo in un primo momento in ostaggio alcune persone (prontamente rilasciate) e chiedendo un’inchiesta sia sulla corrotta amministazione della riserva di Pine Ridge che sulla sistematica violazione dei trattati firmati dal governo statunitense con le popolazione native. Sul posto intervennero centinaia di poliziotii e circa duemila agenti del FBI, oltre a blindati ed elicotteri che posero il villaggio sotto assedio.
Un po’ di Storia per comprendere la scelta del luogo, non certo casuale.
Nel 1868 era stato firmato un accordo che “concedeva” ai Teton Sioux (termine di origine francese non gradito agli interessati, noti anche come Očhéthi Šakówiŋ o Lakota) una vasta riserva nelle Colline Nere (Pahá Sápa). Trattato infranto quanto prima, dopo la scoperta (forse solo un pretesto per occuparne ulteriormente le terre) di presunti giacimenti auriferi nella zona interessata. Nella disperata disgregazione culturale e sociale in cui versavano a causa delle innumerevoli sconfitte, i nativi si erano affidati a Wovoka, un “profeta” che annunciava, attraverso la “danza degli spiriti”, la resurrezzione dei guerrieri morti in battaglia e il ritorno delle mandrie dei bisonti. Ne seguì una crudele repressione in cui venne assassinato anche il capo tradizionale dei Lakota Hunkpapa Toro Seduto (Tatanka Yotanka, con Tȟašúŋke Witkó uno dei vincitori nella battaglia del Little Bighorn).
Temendo di venir rinchiusi o uccisi, circa 400 indiani si rifugiarono nell’accampamento di Big Foot (Heȟáka Glešká) in un’altra riserva. Il 29 dicembre 1890 intervennero i vendicativi soldati del 7° cavalleria (quello di Custer, sconfitto e ucciso al Little Bighorn) e mentre si procedeva al disarmo dei fuggitivi un colpo partito forse casualmente (o forse no) scatenò il massacro. Ai fucili si aggiunsero le cannonate che bombardarono il villaggio massacrando donne e bambini. Le vittime accertate (indiani) furono circa 350.
A questo episodio che segnava irrimediabilmente la fine della resistenza indiana (nel 1886 si erano arresi anche gli apache Geronimo e Mangus, il figlio di Mangas Coloradas) si vollero richiamare gli aderenti all’AIM quando occuparono Wounded Knee. Un’azione eclatante che veniva dopo l’occupazione di Alcatraz nel 1969, del monte Rushmore nel 1970 e dell’Ufficio degli affari indiani a Washington nel 1972.
Nei giorni successivi, ai primi di marzo, molte persone raggiunsero gli occupanti (portando viveri e altri beni di prima necessità) e Wounded Knee venne dichiarato territorio indipendente. Vennero organizzate mense comunitarie, servizi sanitari e un piccolo ospedale. Nei settanta giorni dell’assedio si registrarono isolati colpi di fucile e almeno due militanti indigeni persero la vita. Tra la polizia alcuni feriti, di cui uno soltanto gravemente.
Alla fine agli occupanti venne garantito che il governo avrebbe esaminato le loro richieste (in merito alla violazione dei trattati, alla corruzione del Consiglio tribale collaborazionista…), ma dovevano deporre le armi ed evacuare dal luogo. L’occupazione si concluse l’8 maggio 1973 quando, col favore delle tenebre, i militanti si dispersero senza farsi arrestare.
In realtà le condizioni a Pine Ridge non cambiarono nei mesi e anni successivi e l’inchiesta stessa finì nel dimenticatoio. E naturalmente i trattati del 1868 non vennero mai rinegoziati come richiesto.
Si scatenò invece una vera “guerra sporca” contro i militanti dell’AIM, molti dei quali vennero arrestati, assassinati (almeno sette in due anni) o morirono in incidenti sospetti (inevitabile l’analogia con quanto accadde alle Black Panthers). Tanto che alcuni preferirono fuggire altrove, per esempio in Canada.
In questo clima di generale repressione, Peltier venne arrestato e condannato per l’omicidio di due agenti del FBI il 25 giugno 1975 nella riserva di Pine Ridge. Al processo i suoi avvocati subirono pesanti limitazioni e venne impedita la presentazione di testimoni a sua difesa. Ancora oggi oltre 140mila pagine del “dossier Peltier” rimangono inacessibili (anche agli avvocati) per ragioni di “sicurezza nazionale”.
grazie per averlo pubblicato. Invio questo “commento” su una vicenda che per me è emblematica, ma che – per ragioni che forse per ingenuità non comprendo – nessuno tra coloro che in genere ospitano i miei interventi ha voluto pubblicare.
Buona giornata
Gianni
CONFERMATE LE CONDANNE PER LE PROTESTE ANTIDISCRIMINATORIE DEL 2018 ALLA STAZIONE E ALL’AEROPORTO DI TOULOUSE
Gianni Sartori
Dopo le condanne subite per un’azione di denuncia e protesta del 2018, l’associazione Handi-Social che lotta contro la discriminazione nei confronti dei disabili e per i loro diritti, si era rivolta alla Cour de cassation. Ma questa, l’8 gennaio 2025, confermava le pene.
I fatti risalivano al 2018 quando alcuni membri di Handi-Social avevano organizzato un blocco dimostrativo alla stazione di Toulouse (dove l’accesso ai treni è di fatto impraticabile per le persone con handicap) e all’aeroporto Toulouse-Blagnac. Invadendo i binari e le piste e mettendo in seria difficoltà la circolazione di treni e aerei. Dopo una serie di processi (a cui molti degli imputati non potevano assistere per l’inaccessibilità delle aule) 16 dimostranti venivano condannati a pene da due anni a sei mesi (con la condizionale). In Corte d’appello le pene si trasformavano in ammende fino a duemila euro. L’associazione si era quindi rivolta alla Corte di cassazione denunciando un “attacco alla libertà di espressione”. Ma il verdetto veniva appunto confermato l’8 gennaio.
Per Handi-social “il diritto alla libera circolazione rimane fortemente ostacolato per le persone handicappate. Impossibile per loro accedere da sole ai treni, constatazione particolarmente sconvolgente in una stazione di grandi dimensioni come quella di Toulouse-Matabiau. Ed è appunto per denunciare questa mancanza di accessibilità della Société nationale des chemins de fer français che i nostri militanti avevano deciso di bloccare i binari alla stazione di Matabiau di Toulouse nel 2018”.
Quanto alla dimostrazione all’aeroporto di Toulouse-Blagnac, si inseriva in “una protesta contro la legge Elan che riduceva drasticamente (dal 100% al 20% nda) gli obblighi di rendere accessibili le nuove strutture”.
Scopo dei manifestanti non era solamente quello di “sensibilizzare sulle condizioni di accoglienza delle persone con handicap nei trasporti” (giudicandolo in parte “riduttivo”), ma anche “denunciare un sistema discriminatorio che opprime le persone handicappate”.
Gianni Sartori