di Mario Boccia
Si chiamava Molhem Barakat, era nato a Istanbul e aveva 17 anni. Era bravo a fare le foto ed era diventato un collaboratore della Reuters. È morto ad Aleppo, la città dove viveva, il 20 dicembre scorso, mentre fotografava uno scontro tra gruppi ribelli e l’esercito siriano all’ospedale Kindi (i ribelli accusano i regolari di avere trasformato l’ospedale in una caserma e per questo lo avevano attaccato). Questa è la notizia nuda; una lunga didascalia sotto la foto di un ragazzino sorridente, in posa con la macchina fotografica con il teleobiettivo bianco, concessagli in uso dalla Reuters.
Barakat prendeva 100 dollari per dieci foto trasmesse al giorno. A conti fatti sono 10 dollari a foto, più un bonus nel caso che qualcuna fosse pubblicata su testate importanti. Molti commentatori su carta e in rete, hanno copia-incollato con variazioni minime la stessa notizia d’agenzia. Qualcuno ha sbagliato la traduzione e “barraks”, per troppi, è diventato “barricate” invece che “caserma”. Pazienza per la descrizione dei fatti, purché ci sia abbondanza di pseudo-poesia nei pezzi: “sorriso già adulto su un volto di bambino”, “riccioli neri”, “sogno infranto”, “morire per una passione”, “ritraendo vita e morte della sua gente ne era la coscienza”, fino al top: “Lui è rimasto lì, piccolo e uomo insieme, accompagnato da un’arma micidiale che ora giace ricoperta del sangue del suo soldato”. Ancora: “Molhelm e la storia si sono tenuti per mano, egli è stato i suoi occhi, monito futuro per le guerre che inesorabilmente verranno. È stato il ragazzino che con le sue immagini ha mostrato il mondo che vorrebbe malgrado tutto, riuscendo a catalizzare l’attenzione sull’innocenza fanciullesca che si ritrova protagonista nel terrificante teatro della morte”.
Al contrario, il giornalista Corey Pein, nel suo blog dall’Inghilterra, arriva a porsi 19 domande, tutte piuttosto imbarazzanti per la Reuters. Ne aggiungerei solo una se non fosse inutile perché viola la privacy dell’azienda e altri principi sacri: quanto ha guadagnato la Reuters sul lavoro di Barakat?
In tutti i conflitti recenti, i collaboratori locali sono presenze utili per le agenzie di stampa, perché costano poco e rendono molto. Possono essere bravi, ma è bene che non lo diventino troppo, perché devono restare gregari. Niente polizze di assicurazione, corsi di sopravvivenza, giubbotti antiproiettile, elmetti, alberghi, autisti, telefono satellitare etc. Niente riscatto e complicazioni diplomatiche in caso di sequestro. 10 dollari a foto, tutto incluso. Se dal loro lavoro esce una copertina prestigiosa, si accontentano di un piccolo bonus e il resto è profitto per l’agenzia. Le cifre che guadagnano sono parametrate al costo della vita, che in Siria è basso, cioè pari al valore della vita stessa (dei suoi cittadini).
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